Sei forse troppo giovane per ricordare Live Aid , il mio personale indice di riferimento per valutare il tasso di cinismo di una persona. Live Aid, 1985, è stato uno dei più grandi concerti rock della storia: organizzato da Bob Geldof, è stato trasmesso in diretta in più di cento paesi con lo scopo di raccogliere fondi per aiuti ai paesi poveri (valutati in circa 150 milioni di sterline). Perché è un indice di riferimento? Perché se vedi Bob Geldof sul palco di Live Aid e pensi “che animo nobile” per me devi darti una svegliata; se pensi “che orrendo opportunista” devi darti una calmata.
Nel 2000 Naomi Klein, una ricercatrice canadese, ha pubblicato No Logo , libro in cui, come sintetizza Wikipedia “afferma che negli ultimi vent’anni avrebbe avuto luogo un radicale cambiamento nel capitalismo: se prima era centrale la fase della produzione di merci, ora quest’ultima diventa marginale e trascurabile, mentre si impiegano sempre più forze e denaro sul marchio e sulla proposta di una serie di valori immateriali ed ideali da collegare ad esso, con lo scopo di crearsi una propria fetta di monopolio”. Nel tempo questa trasformazione delle aziende ha preso anche valore positivo (per me, che cerco ovunque il bicchiere mezzo pieno): se un’azienda nel comunicare crea valore, invece che rumore, questo valore va rispettato.
Il nome di questa rubrica è quindi ispirato a questa intuizione: se qualunque cosa faccia un’azienda è marketing, non ci resta che valutarla nel merito, cioè capire se mi danneggia, se mi è utile o completamente indifferente.
Un’azienda che fa marketing cercando di fare anche il mio interesse e i gli interessi della collettività sta chiaramente pensando soprattutto a raggiungere i suoi obiettivi (di vendita, di notorietà, di potere): per moltissime persone questo è sufficiente per screditare anche le ricadute positive della sua azione. Per me no: per me quello che fa la differenza è se l’azienda crede davvero in quello che propone, se è trasparente nel dichiarare le sue intenzioni e se il vantaggio per i clienti e per la collettività è reale e tangibile.
Ogni volta che un’azienda fa qualcosa di utile e qualcuno la critica perché “tanto è solo marketing” fa perdere un’opportunità a tutti, l’opportunità cioè di avere meno pubblicità tradizionale e più valore sociale. Io difendo il diritto di un’azienda di fare qualcosa di buono per vendere di più, approccio che viene messo sotto accusa perché si dà sempre per scontato che se un’azienda fa qualcosa per scopi di marketing ci sia sotto qualcosa di losco. A volte c’è, a volte no: valutare nel merito è un dovere, criticare a priori rimane un diritto, ma un diritto che comporta il rischio crescente che domani un’azienda si dica “chi me lo fa fare” e decida di continuare a comprare spazi pubblicitari e basta.
Mafe de Baggis
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