NoLogo/ La proprietà dei contenuti

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di Mafe de Baggis - La piattaforme chiedono di fare soldi con i nostri contenuti? Si arrogano diritti di sfruttamento economico? Noi di quei diritti non ce ne facciamo niente: i nostri contenuti sono relazioni
di Mafe de Baggis - La piattaforme chiedono di fare soldi con i nostri contenuti? Si arrogano diritti di sfruttamento economico? Noi di quei diritti non ce ne facciamo niente: i nostri contenuti sono relazioni

Non so se lo sai, ma quando ti registri a un sito e accetti le “condizioni del servizio” firmi un contratto vero e proprio, che regola per esempio le tue responsabilità, i tuoi diritti e la proprietà dei contenuti che eventualmente pubblicherai, fossero chiacchiere su un forum o il prossimo Harry Potter. Nella maggior parte dei casi cedere una parte dei diritti al fornitore del sito è indispensabile, perché senza il tuo consenso questo non potrebbe pubblicarli; in altri si esagera un pelino, inserendo clausole di diritto totale globale di vita e di morte per sempre su tutto quello che posti, fosse anche la foto del tuo nipotino Gerardo.

È quello che per esempio ha fatto Facebook qualche settimana fa, con immediata marcia indietro al salire della protesta e apertura al confronto con il gruppo Facebook Bill of Rights and Responsibilities , che a oggi ha 90.148 iscritti (quasi tutti inferociti, va detto). In genere comunque ogni volta che qualcuno legge attentamente le condizioni di servizio della sua piattaforma di blog o di foto, gli si rizzano i peli in testa alla scoperta che ‘sti bastardi volendo potrebbero far soldi con i tuoi post o le tue foto.

Ora, facciamo un passo indietro. È vero che siamo tutti potenziali artisti geniali, ma è anche vero che la maggior parte dei contenuti che pubblichiamo in rete non ha nessun valore economico. Spesso questi contenuti non hanno neanche nessun valore artistico o di informazione, in una parola non hanno nessuna utilità. È il loro bello, è quello che li rende umanamente preziosi: sono contenuti sociali, sono per l’appunto conversazioni. Le conversazioni non sono monetizzabili, a meno che tu non faccia il conduttore in un programma alla radio. Per ciascuno di noi il 99% dei contenuti che pubblichiamo in rete ha un enorme valore sociale e nessun valore economico. Direi di più: se lo avessero, sarebbe l’ennesima mercificazione di ciò che abbiamo di più caro. Se quello che pubblico in rete ha per me un valore economico e professionale, anche solo potenziale, non è il caso di scegliere piattaforme gratuite per distribuirli; se scelgo una piattaforma gratuita, in un certo senso dovrei accettare uno scambio alla pari, scambio che consiste nel regalare contenuti che presi uno a uno non hanno nessun valore economico (ma un’enorme valore personale), che presi nel loro insieme diventano interessanti anche economicamente.

Ora, Facebook aveva davvero esagerato, con regole tipo l’ impossibilità di cancellare i propri contenuti , con pesanti ripercussioni anche sul diritto alla privacy: in genere però pensiamoci, ogni volta che rogniamo sulla richiesta di cedere i diritti di sfruttamento economico dei contenuti pubblicati su piattaforme gratuite. Noi di quei diritti non ce ne facciamo niente, loro sì, e se “loro” da qualche parte non guadagnano, noi prima o poi torneremo a proiettare diapositive in salotto dopo aver legato i parenti alle sedie.

D’altra parte io, tu, la maggior parte di noi si sente abbastanza in diritto di violare il copyright, scaricando musica e film. Ma se il copyright ha oggi un peso diverso per artisti, case discografiche e produttori di film, ha un peso diverso anche per la foto di Gerardo, del matrimonio di Celsa e gli haiku di Felicita. Se dev’essere economia della generosità, dev’esserlo alla pari, anche nei confronti dello sfruttamento – in fair use – dei miei contenuti da parte di Facebook, Blogger, Splinder eccetera. Non a caso i provider più accorti regolano la questione in modo elegante utilizzando le licenze Creative Commons, che altro non sono che un modo per permettere a chi ti sta regalando un servizio di guadagnare dai tuoi contenuti in modo reciprocamente rispettoso.

Mafe de Baggis
Maestrini per Caso

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Pubblicato il
6 mar 2009
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