Lo scorso fine settimana ho coordinato un gruppo di volontari (spesati ma non retribuiti) incaricati del live blogging di Anteprime , un festival letterario in cui una trentina di scrittori hanno raccontato il loro lavoro in corso. Gli incontri si tenevano in serata, la maggior parte dei quali in parallelo, e finivano molto tardi, sabato sera siamo andati a cena a mezzanotte.
La quantità e la qualità dei contenuti prodotti, in gran parte video e tweet, ha permesso a molte persone di seguire l’evento anche da casa. Quello che mi ha colpito ancora di più è stato l’entusiasmo, la passione e la dedizione con cui tutti hanno collaborato: come ha scritto Palmasco , uno dei volontari, “È stato fantastico, soprattutto per quello che a me è sembrato una specie di spirito di gruppo”. Stessa impressione da parte del cliente: “Grazie davvero per tutto l’aiuto e soprattutto l’entusiasmo! È stato una carica di adrenalina in quei giorni caotici veramente vitale!”.
Non è la prima volta che verifico quanto e come il lavoro amatoriale e volontario sia più adatto a determinate attività del lavoro retribuito, in particolare in tutti i casi in cui è indispensabile delegare il più possibile e lasciar libere le persone di decidere cosa fare e quando e come. È forse però la prima volta che verifico sul campo che questo non vale solo in Rete, dove il valore e il capitale sociale sono prodotti da sempre senza una direzione e senza un controllo, ma funziona anche offline. Anche il compito più semplice, cioè dividersi gli autori da seguire, funziona meglio con una regia leggera e viene appesantito e complicato da una decisione dall’alto.
È il tema ampiamente trattato da Clay Shirky in “Uno per uno, tutti per tutti”, e dopo anni che lo vedi succedere online vederlo funzionare anche offline ha dell’emozionante.
Poi su Friendfeed leggi una tua amica che scrive: “appurato che a quanto pare in un ufficio essere veloci è destabilizzante per il lavoro di squadra io mi metto al cazzeggio come tutti gli altri.” Chiunque abbia lavorato in un ufficio sa quanto sia vera quest’affermazione: chi è più sveglio e veloce complica il lavoro degli altri invece di stimolarli.
Ma cosa sta succedendo? Non voglio arrivare a dire che lavoriamo meglio e divertendoci quando non siamo pagati per farlo, ma forse sì. Oppure – come più probabile – è il metodo di organizzazione basato sulla pianificazione e controllo a impedirci di lavorare bene, con passione e responsabilità.
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