Abituati come siamo a ragionare in termini di causa ed effetto, facciamo fatica a comprendere pienamente le situazioni in cui otteniamo qualcosa di diverso da quello che cercavamo e soprattutto ad accettare che questo possa essere un metodo vero e proprio di progettare qualcosa.
Ci viene in aiuto il concetto di “finestra di opportunità”, abbastanza noto in alcuni settori della ricerca: come scrive Massimo Piattelli Palmarini “(Le scienze cognitive) si concentrano avidamente sulle zone di sfondamento delle conoscenze, curandosi poco (a breve termine, almeno) delle loro ricadute socio-economiche”. Non è detto che avere un obiettivo preciso o misurabile aiuti l’innovazione perché sempre più spesso scoperte importantissime avvengono per caso, guidate dall’istinto o dalla curiosità, non da una pianificazione a tavolino.
Scrive ancora Piattelli Palmarini che “Le opportunità di capire si presentano spesso in luoghi strani” e capire i propri clienti e il proprio mercato dovrebbe essere l’obiettivo principale di chi decide di frequentare luoghi particolarmente alieni (per qualcuno) come i blog, i forum o Facebook. “Is community management marketing, customer service, or something else?” si chiede Marshall Kirkpatrick, e la risposta non può che essere “dipende”: quel che è certo è che quasi sempre i risultati arrivano, ma non sono quelli che ti aspettavi.
Questo modo di lavorare e ragionare è sensato ma assolutamente incomprensibile per la maggior parte dei decisori o dei loro capi: siamo sempre nel mondo della pianificazione e controllo, un mondo in cui per essere credibili e avere l’opportunità di agire è indispensabile fissare obiettivi, risultati e metriche con cui misurarli.
È più che mai necessario quindi lavorare su un doppio binario: tenere la mente aperta a qualunque opportunità si presenti e insieme riconoscere ai propri interlocutori il diritto a una traduzione concreta e misurabile di queste opportunità. Nessuno si lamenterà mai se hai ottenuto obiettivi diversi da quelli promessi, se i risultati ci sono: l’importante è renderli visibili e comprensibili utilizzando un linguaggio condiviso.
È molto importante quindi che IAB abbia definito delle metriche di riferimento per i social media e che queste prendano in considerazione anche fattori qualitativi, impalpabili ma importantissimi. Alcuni indicatori sono ancora legati a vecchie logiche, come l’Interaction Rate, il numero di persone che cliccano su un banner, ancora troppo vicino al clicktrough. Altri sono più centrati, come il Friends Reach, cioè il numero di persone raggiunte dai contenuti condivisi da loro amici, o il Conversations Reach, il numero di visite uniche in arrivo dai blog.
Niente di particolarmente rivoluzionario, ma avere finalmente uno standard di riferimento è un passaggio indispensabile per far digerire strategie e obiettivi più raffinati in termini di nuove opportunità, intuizioni e aumento della sensibilità alle esigenze del cliente finale, che spesso continua a misurare solo il proprio particolare , e cioè i visitatori unici del sito ufficiale.
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