Settembre è il mese ideale per i convegni, pare: non fa ancora freddo e non fa più caldo, si esce più volentieri e non si ha ancora tanta voglia di rinchiudersi in un ufficio. Nel mio piccolo negli ultimi giorni ho partecipato, come ospite o come moderatrice, a una dozzina di incontri in pubblico: presentazioni di libri, convegni, dibattiti o workshop. Me ne sono persa almeno altrettanti, forse di più, ma dai pareri raccolti in giro direi che Ezekiel ha perfettamente ragione nel domandarsi se quella che lui definisce “ipercomunicazione” faccia bene al nostro settore.
Parlare di media digitali, e in genere di tecnologia e comunicazione, a un pubblico sconosciuto non è facile, perché non sai mai quanto ne capisca chi hai di fronte, o almeno, è questo che ci raccontiamo da una decina d’anni. Forse è arrivato il momento di prendere un po’ di coraggio e decidere, una volta per tutte, che divulgare non vuol dire banalizzare e soprattutto che non si può ogni volta partire dall’inizio.
Forse dovremmo semplicemente applicare una premessa implicita del nostro lavoro (la “saggezza delle folle”), e cominciare noi per primi ad avere fiducia nelle capacità di comprensione delle platee piccole e grandi che ci si siedono davanti per ascoltare quel che abbiamo da dire.
Approfitto della platea più ostica che conosco per proporre cinque regole del parlare in pubblico, un’ecologia del convegno utile per approfittare al meglio del tempo che passiamo in “splendide cornici” aspettando un po’ annoiati il buffet e relative ciacole. Proviamo a dirci che nel 2010 un convegno che parla di media digitali e/o di cambiamento del marketing e comunicazione forse dovrebbe:
1. parlare a chi è al passo o più avanti, non a chi è rimasto indietro;
2. non accettare keynote già presentati altrove (a meno che non vengano usati come spunto);
3. invitare alle tavole rotonde solo relatori capaci di parlare a braccio e di ascoltare, riprendere e rispondere agli interventi degli altri;
4. mettere a disposizione nei giorni precedenti all’incontro dei materiali utili per non dover partire da zero;
5. pagare chi partecipa, o almeno il moderatore.
L’ultimo punto è rilevante per il pubblico, oltre che per il relatore: dedicare un pomeriggio a un convegno è un investimento di tempo e di aspettative, se chi lo organizza ritiene che i relatori non valgano un gettone di presenza, perché dovresti pensarla diversamente?
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