“Voglio uno strumento che renda strutturate le mie presentazioni destrutturate”, scriveva Marco Mazzei su Facebook l’altro giorno, dopo aver rivelato nel suo status “odio powerpoint” (come molti di noi). A me in realtà servirebbe uno strumento che permettesse di definire la struttura del lavoro da fare insieme agli altri: un Powerpoint (o Keynote) collaborativo e in tempo reale.
Il problema delle slide però non è tanto nello strumento: ci sono slide fatte bene e fatte male, persone in grado di presentare qualcosa anche con un muro bianco e persone che non riescono a essere convincenti neanche con la più zen delle presentazioni zen. Il problema è che non sempre presentare qualcosa è il modo migliore per lavorare insieme.
Le slide quasi sempre rimangono l’unica documentazione di progetto esistente, e troppo spesso si confonde la presentazione con il lavoro sul progetto.
Anche quando ci si sforza di approfondire e contestualizzare ragionamenti, modalità, passaggi logici e riferimenti in un documento esaustivo sembra ormai impossibile far sì che i partecipanti a un progetto accettino che il lavoro è soprattutto prima e dopo la riunione . Pare ormai un concetto obsoleto, ma questo prima e dopo passa anche attraverso la lettura di diverse cartelle di testo, o comunque richiede attività di approfondimento e riflessione individuale. Avete presente quelle situazioni in cui le persone continuano a chiederti informazioni o approfondimenti che sono nelle slide successive? Non sarebbe più semplice se tutti avessero la documentazione prima, così da sfruttare la riunione per un confronto su informazioni già note a tutte?
In molti progetti invece la presentazione diventa una specie di McGuffin o, se preferite, di coperta di Linus: più è poderosa maggiore la confidenza nel successo del progetto (che qualcuno – di solito non presente – dovrà prima o poi realizzare).
Leggere la documentazione è un optional, capirla un gradevole incidente di percorso, discuterla e problematizzarla dopo averla digerita roba da secchioni (malvisti). Qualunque ragionamento inizia e finisce in queste riunioni in cui di solito si fa e si pensa altro, si perdono dei passaggi, si approfondisce poco e niente e si rimandano le decisioni critiche a future riunioni, per la cui preparazione dedicheremo 15 minuti ai contenuti e 15 ore alla loro impaginazione.
In moltissime aziende la giornata lavorativa consiste in una serie ininterrotta di “ping” reciproci che servono solo a confermare la reciproca dignità di presenza. Il tempo di chi ha veramente qualcosa da fare è nelle mani dei riunionisti di talento e dei telefonatori di professione, che non avendo niente da fare ed essendo terrorizzati di essere scoperti inondano le agende altrui e scambiano il lavoro di gruppo con una serie di persone sedute intorno a un tavolo a scaldarsi al proiettore, moderno focherello digitale. Sono le persone che si lamentano delle mail, se ci fate caso: quelli che se hanno delle mail da leggere “non possono lavorare”, come se leggere o scrivere fossero attività extralavorative, a differenza di parlare e inviare convocazioni.
Io ci ho (quasi) rinunciato. Il resto del mondo pare terrorizzato da come Internet, telefonini e videogiochi potrebbero “renderci stupidi”: io sto ormai elaborando il lutto per i neuroni di tutti noi, totalmente brasati da decenni di slide, riunioni fiume, gestione di emergenze inesistenti e spesso causate da errori di lettura della realtà, decisioni di brevissimo respiro e riluttanza al fermarsi a riflettere su qualcosa, da soli, per più di cinque minuti.
Mafe de Baggis
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