Milano – La scorsa settimana Sky, che già da qualche mese usa Twitter per le ultime notizie di SkyTg24, ha creato un account per la Guida Tv . L’utente “SKYguidaTV” si comporta come un utente normale: aggiunge 129 persone, di queste 21 ricambiano, presumibilmente perché interessate al servizio. Piccolissimi numeri per un piccolissimo esperimento: segnalare su Twitter i programmi più interessanti per persone colte, esigenti, poco interessate al mainstream, lo stesso profilo di chi si è scelto di seguire. Pur avendo lavorato per Sky l’anno scorso (e avendo suggerito l’uso di Twitter come canale informativo alternativo) non conosco tutti i dettagli dell’iniziativa ma posso immaginarli: è uno dei tanti possibili esperimenti di esplorazione di quella rete intelligente, dialogante e orizzontale così difficile da capire per le grandi aziende editoriali, riluttanti a operazioni capillari su piccolissimi numeri e grande intensità di gestione.
Cosa succede quando un’azienda decide di dare ascolto ai suoi clienti e di portare nei loro ambienti di rete informazioni su misura, poco invasive, che ricevi solo se lo decidi tu? In questo caso – e in molti altri – la percezione manifestata in pubblico è comunque di spam . Via via che SKYguidaTV aggiungeva 129 persone al suo account Twitter si popolava di messaggi come “ma perché la gente confonde twitter con un prodotto marketing? no che non ti followo, fai solo spam…” oppure “SKYguidaTV is now following your updates on Twitter”. Spam on Twitter: Twam? Spitter?” .
Più articolata la posizione di Andrea Beggi, che scrive “vorrei dire a @SKYguidaTV che il loro monopolio è osceno e che il servizio clienti fa pena” , più equilibrato Markingegno che scrive “se le aziende usano twitter per inviare info utili ed ascoltare, bene. Altrimenti è solo un altro, poco utile, canale MONOdirezionale…”
Vale la pena di ricordare che proprio la guida tv di Sky ha suscitato negli ultimi mesi diverse polemiche per la decisione dell’azienda di farla pagare agli abbonati, a meno che non si comunichi di non volerla più ricevere, ma le reazioni di fastidio e di rifiuto nei confronti della presenza di un’azienda in uno spazio sociale non sono sempre motivate dalla scarsa reputazione e/o correttezza del brand.
Il disagio poi non è solo su Twitter, ma va esteso a tutti i social network: Brodo per esempio si chiede “ma è normale che uno sceneggiato tv mi aggiunga ai suoi contatti flickr?” .
Il punto è che nella maggior parte dei casi, iniziative come questa di Twitter per Sky sono faticosamente portate avanti da pochi coraggiosi che conoscono la rete e che a volte lo fanno anche di nascosto, stufi dell’elefantismo aziendale per cui vanno fatti solo siti enormi, complicati ed emozionali e straordinarie campagne banner, stufi di piani faraonici di community pensate solo per raggiungere gli obiettivi aziendali e per questo fallimentari, molto spesso rischiando di essere cazziati se va male, di far del lavoro in più non riconosciuto se va bene. Come spiega Bassoatesino sul suo blog :
“quando su Twitter tra i follower vi si aggiunge un account di un azienda, spesso dietro non ci sono riunioni di uffici marketing o mirate strategie aziendali, ma c’è l’intuizione di qualcuno che ha voglia di sperimentare e di fare il proprio lavoro in modo creativo. Questo lo dico perché sono il mandante ideologico (anche se non l’esecutore materiale) di alcuni di questi account.”
Criticare aspramente e in pubblico ogni timido tentativo di comunicare in modo diverso, poco invasivo, creando un rapporto paritario vuol dire rendere più difficili questi tentativi, dare implicitamente ragione a chi rifiuta di dialogare perché l’unico modo di comunicare in pace è unidirezionale, confermare lo stereotipo dell’utente medio aggressivo e intollerante. Stereotipo falso, perché anche in rete la maggioranza è silenziosa, mentre chi si lamenta in pubblico è vistosissimo. Questo non vuol dire subire, anzi: se sono infastidita dalla presenza di un’azienda (o meglio, di una persona che in quel momento rappresenta un’azienda) nel mio spazio privato posso sempre non ricambiare il rapporto, ignorarlo, bloccarlo, esprimere il mio dissenso quando l’azienda si è resa colpevole di comportamenti poco corretti, insomma, approfittarne per dialogare. Reagire accusando di spam invece non fa altro che rendere la vita più difficile alle aziende che stanno davvero cercando di capire se e come usare la rete e quindi contribuire involontariamente a un futuro più ricco di banner invasivi che di presenze discrete.
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