Dieci anni fa le 95 tesi del Cluetrain Manifesto davano il via a “una potente conversazione globale”, un’invettiva ben argomentata che ha distrutto e ricostruito le fondamenta teoriche e non solo del marketing.
I quattro autori – Chris Locke , Rick Levine, Doc Searls e David Weinberger – probabilmente non si aspettavano che dieci anni dopo la loro provocazione sarebbe stata nello stesso tempo una visione ancora fresca, una formula totalmente abusata e una promessa in gran parte inevasa (ma fatta e rifatta ancora e ancora).
Dieci anni dopo Doc Searls, blogger, giornalista e docente, si chiede sul suo blog :
“ma che cazzo (what the fuck) intendevamo dire – se volevamo dire qualcosa – dicendo che “i mercati sono conversazioni?”
Non è (solo) la domanda a colpire la mia attenzione, anche se è decisamente raro che un autore metta in discussione se stesso. È il tono con cui viene proposta, una delle migliori declinazioni (per parlar markettese) di un’altra delle tesi, la numero 3: “Le conversazioni tra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana.”
Come scrive Josh Bernoff nel suo liveblogging dell’evento ” Therès a new conversation ” tenutosi ieri a New York: “Gli autori del Cluetrain non hanno peli sulla lingua”. Ma sempre Bernoff, pur lasciandosi trascinare dal freddo entusiasmo indignato di Doc Searls, non riesce a non notare la sua “ingenuità” nel pretendere un cambiamento immediato da parte delle aziende. È una perplessità che provo spesso anch’io e che nasce anche da una considerazione fatta da Ross Mayfield durante la sua presentazione a State of the Net : “Le aziende sono fatte di persone” . Se vogliamo tornare a parlare tra esseri umani, invece di comunicare a target e a botte di carte di credito, dobbiamo fare noi – noi che ci riconosciamo nel Cluetrain Manifesto – quel piccolo primo passo per trascinare nella conversazione le aziende (fatte di persone), le redazioni (fatte di persone), i partiti politici (fatti di persone), prendendo atto del fatto che è l’organizzazione burocratica dei ruoli a renderle disumane e che non tendere questa mano ci rende in parte corresponsabili.
Io sono fermamente convinta che quando un’azienda ha bisogno della rete impara a usarla e correttamente e anche in fretta: anche questo è molto umano. Sono anche convinta che un’azienda che oggi non ha bisogno della rete ha i giorni contati, perché non è dove i suoi clienti sono o saranno tra cinque minuti. Resta il fatto che non possiamo più limitarci a denunciare come disumane le aziende se noi per primi le trattiamo come tali (a prescindere dai loro errori, che sono indiscutibili). Eccheccazzo.
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