L’Italia crede nell’innovazione. Il concetto emerge chiaro dalle rilevazioni Nomisma, all’interno di una ricerca nella quale il nostro Paese sembra affrancarsi dalla pandemia proprio cercando una leva di rilancio. Guardare al futuro è un modo per liberarsi del presente e tutto quel che è cambiamento fa meno paura perché non è più rovinare uno stato di comodo, ma sotterrare una parentesi di fastidio e sopportazione.
L’Italia della new normality
L’Italia che vuole cambiare è quella che si appende a tre parole chiave: speranza, ripresa e cambiamento. Sono queste le parole che vengono associate al nuovo anno, come se fossero spunti sui quali costruire la propria quotidianità e tentare di ricostruirsi una vita.
A queste segue il termine “timore“, citato più del doppio delle volte rispetto al 2021 (si passa dal 3% al 7%): in particolare, è proprio nella Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) che si registra la media più alta di coloro che accostano questo stato d’animo al nuovo anno (lo fa il 9% di questo segmento). Allo stesso tempo, è sempre in questa fascia d’età che si trova la percentuale maggiore di chi, pensando al 2022, spera in un cambiamento (il 19%).
La sensazione è che l’immobilismo della pandemia abbia coltivato un fermento latente pronto ad esplodere: c’è voglia di indipendenza, di attivismo, di cambiare vita, di trasformare la propria quotidianità. Una sorta di delusione strisciante che cerca rivalsa e che trova varie forme, ma in tutti i casi digitalizzazione e tecnologia sono visti come lo strumento fondamentale, la base fondante.
Questa frattura tra il pre e il post-pandemia lascerà gravi ferite e il mercato ne risentirà fortemente. Alcuni settori, in particolare, ne pagheranno dazio. L’uso dei mezzi pubblici, le discoteche, i grandi eventi sportivi, i centri commerciali, i ristoranti, i cinema: tutto quel che era socialità di massa rischia di subire gravi ripercussioni perché, almeno nell’immediato, c’è una pulsione repulsiva nei confronti di tutto ciò che ha ispirato paura negli ultimi due anni. Per contro, invece, gli spostamenti a piedi, l’ecommerce, i film in streaming e la famiglia sono elementi destinati a guadagnare spazio poiché sono stati il rifugio entro cui abbiamo custodito il nostro bisogno di sicurezza.
Gli italiani esprimono un bisogno di “prendersi cura”: di sé, dell’ambiente, della propria casa, del proprio ambiente familiare, del proprio tempo libero, della propria salute. Questo sposta fortemente gli equilibri nelle propensioni al consumo ed in tutti i casi la ricerca va nella direzione di nuove soluzioni, di digitalizzazione e di nuove modalità di fruizione. Se c’è un aspetto che invece dovrebbe preoccupare, e nel quale la tecnologia fornisce ad oggi poche risposte, è la perdita del bisogno di collettività. Se possibile, la pandemia sembra aver parcellizzato ulteriormente la società annullandone gli spazi pubblici e di condivisione. Su questo la tecnologia tende per sua natura a rincarare la dose, usando la socializzazione più come affermazione del singolo che non come collante comunitario.
Ogni cambiamento ha dei vantaggi e dei costi salati: l’importante è riuscire a prenderne immediatamente consapevolezza, guidando questo cambiamento affinché i costi sociali non diventino maggiore rispetto ai vantaggi individuali. Altrimenti il lungo periodo non sarà migliore del breve.
Queste pulsioni hanno profonde ripercussioni sulle dinamiche di mercato, sul quale grava però il rischio dell’inflazione: quest’ultima rischia di erodere grossa parte del budget e ciò penalizzerebbe sia quei comparti pronti a volare, sia quelli desiderosi di un rimbalzo salvifico:
Il 63% dei manager ritiene che la crescita dei prezzi proseguirà per tutto il 2022. Il 71% di essi sostiene che dovrebbe essere contrastata attraverso una riduzione del cuneo fiscale, il 47% attraverso un adeguamento dei salari al costo della vita e un altro 47% grazie a una riduzione selettiva dell’Iva.
Ne usciremo, insomma. Non migliori, non peggiori, sicuramente diversi.