Giorgio Gaber lo diceva già molto tempo fa: “non piove mai quando ci sono le elezioni“. Che sia la mancanza di pioggia di questa estate rovente, o che sia l’estate rovente ad aver sciolto anche le Camere, fatto sta che si sta scivolando rapidi verso le elezioni e proprio in queste ore infuocate sarà il Presidente Mattarella a sciogliere le riserve in tal senso.
Nel giorno più caldo della canicola, la peggior doccia fredda della politica. Insomma, tocca di nuovo a noi.
Sui social prima, alle urne poi
Ma chi siamo noi, quando si avvicinano le elezioni? L’illusione è quella di avere in mano un timone sorretto da molti, dove ognuno virerà dalla parte che ritiene più opportuna e dove si determinerà la configurazione di un Parlamento sovrano. In questa Repubblica Parlamentare, però, sono molti gli elementi distorsivi che hanno piegato la struttura costituzionale originaria, non da ultimo un mondo della comunicazione che ha definitivamente fatto deragliare i binari del buon senso e della retorica. La campagna elettorale imminente è diventata immanente, la polemica è diventata dialogo quotidiano (e viceversa), l’emergenza è diventata consuetudine, il dibattito è diventato urlo, la critica è diventata indignazione. Tutto ciò sotto i nostri occhi, su un piano inclinato che da troppi decenni ci ha portato fino al triste dibattito parlamentare che abbiamo vissuto in queste ultime 24 ore.
Ma ora chi siamo, noi elettori? Prima di recarci alle urne e prima di immergerci “a nostra insaputa” (cit.) dentro lo tsunami incontrollato di un’estate di tribune elettorali, vale la pena prendere consapevolezza di come ogni nostro atteggiamento, ogni nostro like, ogni retweet e ogni dato personale parla di noi all’interno di una segmentazione di mercato che è sempre più chiara. Ecco perché non saranno i ragionamenti a portarci alla scelta: saranno pulsioni (spesso incontrollabili) e nemici (spesso inesistenti) a spingerci verso quel segno sulla scheda elettorale del quale ci pentiremo non appena capiremo ciò che abbiamo fatto – come nel peggior acquisto su Wish, si direbbe con un meme.
La politica è diventata ormai un vero e proprio prodotto, la comunicazione in tale contesto assume un ruolo più centrale ed è sottoposta ad una sfida alquanto impegnativa. Saper comunicare significa, prima di tutto, instaurare un rapporto empatico con l’interlocutore, quindi, se è vero che l’approccio alla politica è diventato sempre più simile a quello del mondo degli affari, è fondamentale non perdere di vista la componente umana.
Attenzione quindi a questa dinamica:
Informare significa trasferire un’informazione senza esprimere un’opinione personale. Dire che fuori fa freddo è diverso da affermare che fuori ci sono dieci gradi. […] Il politico deve comunicare, e non informare, poiché per persuadere e influenzare l’opinione pubblica ha bisogno di esprimere e di ribadire la propria posizione rispetto a un avvenimento o un tema.
La campagna elettorale sarà pertanto scevra di informazione e densa di “bandierine”, di opinioni suffragate da dati opinabili sciorinati non per informare e descrivere fatti, ma per fornirne visioni deviate e sollecitazioni mirate. La politica tenterà, ora e ancora, di pungolare l’indignazione per scatenare una reazione che vorrebbe essere voto, ma che il più delle volte sfocia nel rifiuto dell’astensionismo. L’esito di migliaia di video sui social, di decine di hashtag e neologismi, di una bulimica produzione di tweet incalzanti? Quello che conosciamo: pochi votano e decidono, facendo le veci di molti che si astengono soverchiati dalla distanza che sentono – legittimamente – rispetto a questa classe politica.
Succede una cosa strana con la democrazia: tutti sembrano aspirarvi, ma nessuno ci crede più. […] Nel mondo intero il bisogno affermato di leader forti, “che non necessitino di tenere conto di elezioni o di un Parlamento”, è considerevolmente aumentato negli ultimi dieci anni e che, al contrario, la fiducia nei parlamenti, nei governi e nei partiti politici ha raggiunto un livello storicamente basso. E’ come se avessimo aderito all’idea della democrazia, ma non alla sua pratica, per lo meno non alla sua pratica attuale.[…] L’individualismo e il consumismo avrebbero minato la capacità di coinvolgimento critico del cittadino, al punto da raffreddare la sua fede nella democrazia. Oggi, al più, fluttua in un’amara indifferenza e cambia argomento ogni volta che si parla di politica.
In questo caso l’autore Van Reybrouck propone provocatoriamente la soluzione estrema del sorteggio al posto delle elezioni, qualcosa che sembra il livello evolutivo ulteriore che dal Qualunquismo è arrivato al Populismo per annullare infine ogni tipologia di selezione della classe dirigente. Un modo estremo per abdicare ai doveri della Democrazia, insomma, più che un modo di esaltarne la natura. La morte della politica, più che un tentativo di rianimarla.
Le elezioni non sono il Prime Day del consenso
In ogni caso il piano inclinato ci ha spinti qui e nessuno può sentirsi privo di colpe. Ognuno sarà chiamato a votare e chi se ne asterrà non farà altro che consegnare potere ulteriore nelle mani di quegli altri che invece credono in un’idea e nel sacro fuoco delle urne. I santini elettorali stanno per tornare, così come le sponsorizzate su Facebook, così come molti nuovi account su Twitter destinati ad essere abbandonati subito dopo lo scrutinio.
In tutta questa fase siamo numeri primi di un segmento statistico a cui proporre quotidiane e strumentali sollecitazioni, nell’attesa di una pavloviana risposta, che sia di destra o di sinistra (e anche qui Gaber ce l’aveva detto in anticipo) o cos’altro. Eppure verrà un giorno, quel giorno che sarà deciso nel giro di poche ore, in cui avremo in mano una matita appuntita con un potere magico dentro, se solo ci si vuol credere. Leccarla non servirà: per esercitare la democrazia basterà fare un segno magico a forma di “X”. Ma dovremmo arrivarci dopo esserci informati, perché i politici non ci informeranno; dovremmo arrivarci dopo aver riflettuto, perché tenteranno invece ogni giorno di far ragionare la pancia; dovremmo arrivarci motivati, perché il contesto è complessivamente demotivante da troppo tempo.
La democrazia, anche se piegata indistricabilmente alle logiche del mercato, deve essere anche e soprattutto autodeterminazione: non è un Prime Day del consenso, non dimentichiamolo. Quindi non svendiamolo, perché non ha prezzo. Poi, presto o tardi, pioverà e bagnerà tutti indistintamente – con gran democrazia.