Parigi – Le porte dell’immensa tensostruttura che ha ospitato il primo G8 della storia del web si sono chiuse da poco ed i mille partecipanti che l’hanno occupata negli ultimi due giorni si avviano a far ritorno a casa, i più semplicemente in metrò perché francesi.
É tempo, dunque, di bilanci.
La prima conclusione che si può trarre è che, certamente, non è stato il G8 di Internet che l’invito del Presidente Sarkozy aveva lasciato immaginare sarebbe stato.
Nella tenda dei giardini delle Tuileries, infatti, hanno sfilato sul palco i rappresentanti di un nugolo ristretto e limitato di interessi: le grandi Internet company, l’industria dei contenuti e le compagnie telefoniche.
Tanti, davvero troppi, gli assenti, come la platea non ha mancato di ricordare a più riprese: la società civile, gli oltre due miliardi di cittadini della comunità telematica globale, i tanti ragazzini e piccoli imprenditori del web che forse hanno già avuto – anche se nessuno lo sa – l’idea destinata a consegnare all’oblio, gli attuali protagonisti della breve storia del web e soprattutto i paesi emergenti e quelli in via di sviluppo nei quali abita la più parte degli utenti della Rete di domani e, dunque, i destinatari di quelle regole che gli otto Grandi della Terra sembrano ora intenzionati a dettare.
Non è stato un G8 mulistakeholder eppure alla fine dei lavori è risultato impossibile formulare le conclusioni e raccomandazioni condivise che avrebbero dovuto lasciare Parigi alla volta di Deauville dove si sta aprendo, sotto la presidenza francese, il vero G8 dei potenti della terra. Si sarebbe, d’altra parte, inesorabilmente trattato di conclusioni falsate e non rappresentative degli interessi e delle posizioni che, ogni giorno, ogni ora e ogni minuto si confrontano online.
Peccato.
La seconda conclusione è costituita dalle tante ed importanti barriere culturali che continuano a dividere il web: i politici dalle imprese, gli uni e gli altri dalla società civile, l’industria dei contenuti da quella degli intermediari della comunicazione e, ancora, all’interno di quest’ultima categoria, i cosiddetti over the top dalle grandi compagnie telefoniche. Non è bastato – né ci si poteva aspettare che bastasse – la convivenza sotto la grande tenda comune all’ombra del Louvre per appianare le abissali distanze che continuano a separare i protagonisti del web.
Ciascuno, a Parigi, è rimasto fermo sulla propria posizione ed in attesa che l’altro rivedesse la sua.
Che sarebbe stato un eG8 tra digital divisi lo si era capito sin dal discorso di apertura di Nicolas Sarkozy e nell’artificio retorico scelto dal Presidente della Repubblica francese nell’aprire i lavori: il presidente dell’HADOPI ma anche colui che ha voluto il g8 Forum si rivolge agli oltre mille rappresentanti degli stakeholder dicendo “voi” e riservando a sé ed ai governi dei Grandi della Terra il “noi”. L’intero discorso di apertura del Presidente è un incessante susseguirsi di “noi” e “voi”: “noi dobbiamo ascoltarvi”, “voi dovete agire in modo responsabile”, “noi e voi vogliamo la stessa cosa”.
Un discorso intelligente, illuminato, pronunciato con la maestria di un grande affabulatore delle folle, quasi una candidatura alla “Presidenza della Rete” o, almeno, a guidare i Grandi della Terra nella regolamentazione dello spazio telematico. Ma quel “noi” che riecheggia, contrapposto al “voi”, lascia inesorabilmente il segno, traccia una fastidiosa e profonda linea di confine tra gli stakeholder della Rete ed i governi dei Grandi. Internet diviene quasi un continente lontano e diverso.
governi ed istituzioni versus Internet.
E poi, le solite divisioni e distanze culturali di sempre: le compagnie di telecomunicazioni che chiedono agli over the top di farsi carico del costo di infrastrutture che sfruttano in maniera parassitaria dimenticando che senza i servizi degli over the top gli utenti non avrebbero alcun bisogno di quell’infrastruttura e, dunque, loro avrebbero ben pochi clienti e guadagni.
I titolari dei diritti d’autore che continuano a minacciare la comunità globale di lasciarla digiuna di creatività e cultura se non si piegherà all’idea anacronistica e folle di continuare a veder applicati al nuovo mondo i vecchi modelli di business, ignorando – o, forse, fingendo di ignorare – che ormai la vecchia industria dei contenuti ha perso il monopolio di un tempo sulla produzione e diffusione degli oggetti culturali e creativi. Nel secolo della Rete ogni utente è, ad un tempo, fruitore e produttore di cultura e creatività e può distribuirla e diffonderla secondo logiche e modelli non necesariamente corrispondenti ai tradizionali paradigmi economici.
Il grande tema della governance della Rete, in questo contesto, resta sullo sfondo, lambito a più riprese ma mai davvero affrontato.
Due conclusioni però sembrano emergere con maggior nitidezza delle altre dalle tante parole scorse sotto la tenda del G8 Forum, e c’è da augurarsi che entrambe non siano sfuggite alle orecchie degli sherpa che guideranno i Grandi della Terra ad affrontare le questioni della governance della Rete.
La prima è che mentre i governi del mondo intero continuano a rincorrere i nuovi fenomeni telematici con leggi e leggine che nascono vecchie per un’incolmabile asincronia tra i tempi della politica e quelli del web, online, ormai, le regole le dettano i gestori delle grandi piattaforme di intermediazione dei contenuti, i titolari dei diritti e le compagnie telefoniche con le loro condizioni generali di contratto, policy e termini di servizio.
È un contesto preoccupante per non dire allarmante. Le regole che governano il nuovo mondo sono dettate nel nome di interessi privati di natura pressoché solo economica ed al di fuori – che si creda o meno alle regole della democrazia – dei processi costituzionali di governo degli stati.
È urgente che i governi di tutti i paesi recuperino il ruolo di indirizzo e garanzia della comunità globale che vive nei loro territori e sotto le loro bandiere. Servono norme sui principi e regole capaci di disegnare un framework che garantisca i contrapposti interessi con particolare attenzione alle categorie più deboli, e serve, soprattutto, che i legislatori nazionali rinuncino all’ostinata e disperata volontà di disciplinare ogni micro-fenomeno che si affaccia sul web, destinato a scomparire prima ancora che le regole entrino in vigore.
Lo spunto per la seconda conclusione è offerto dall’intervento di Lawrence Lessig il quale ricorda, davanti ai rappresentanti delle big company della storia del web, che loro sono il presente e, in qualche caso, già il passato e che nessuno, ancora, conosce i nomi ed i brand dei futuri protagonisti della Rete perché Internet, in fondo, è una grande piattaforma che stimola l’Innovazione ed il progresso.
Le regole sulle quali tutti ci interroghiamo e che i capi di stato e di governo vorrebbero dettare, dunque, sono destinate a disciplinare fenomeni e situazioni che, probabilmente, ancora non esistono. È un’altra buona ragione per accettare l’idea che il legislatore, quando si tratta di Internet, deve limitarsi ad elaborare norme-cornice, suscettibili di guidare e governare la convivenza tra i cittadini di un mondo in continuo divenire.
La rivoluzione antropologica, sociale ed economica in atto, esattamente come impone all’industria di rivedere i propri vecchi modelli di business, così impone ai governi di ripensare radicalmente i modelli e le forme di esercizio del potere e di governance.
Il vertice di Parigi sarà servito almeno a questo? I Grandi della Terra avranno almeno compreso che – come peraltro ammesso da Sarkozy nel suo discorso di apertura – è meglio astenersi dal dettare regole che dettarne di sbagliate per ignoranze delle dinamiche e dei fenomeni del web?
C’è da augurarselo perché la passione e la partecipazione con la quale i cittadini della Rete soprattutto francesi hanno seguito i lavori del G8 dell’Internet sono la miglior conferma della circostanza che la Rete rappresenti uno dei più importanti beni comuni della storia dell’umanità.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it