Era il giugno 2011 quando i responsabili di Facebook annunciavano il lancio della feature per il riconoscimento automatico dei volti. Uno strumento software per le operazioni di tagging degli amici, basato su riquadri contenenti le immagini caricate dagli stessi utenti sulla gigantesca piattaforma social.
Immediata la reazione delle principali authority per la privacy in terra europea. Il garante per la protezione dei dati appartenenti ai cittadini norvegesi ha ora annunciato l’ennesima inchiesta sull’archiviazione automatica di milioni di fotografie da parte del sito di Mark Zuckerberg.
“Quello in possesso di Facebook è uno strumento molto potente – ha spiegato a Bloomberg il garante norvegese Bjorn Erik – e non è chiaro come funzioni esattamente. Hanno le fotografie di centinaia di milioni di persone. Vogliamo sapere cosa contengono esattamente i database di Facebook, ne dobbiamo discutere”.
Ad intervenire con estrema fermezza era stato anche Johannes Caspar, supervisore tedesco per la protezione dei dati personali. Facebook aveva così subito un violento ultimatum , obbligata a disabilitare la feature – inizialmente abilitata di default per tutti gli utenti – per evitare il pagamento di una multa pari a 300mila euro .
Dopo l’ennesima tirata d’orecchie, il sito ha ribadito che il suo riconoscimento facciale è pienamente rispettoso delle leggi comunitarie sulla privacy. Gli utenti in blu sarebbero stati perfettamente informati, oltretutto in grado di disabilitare la feature in poche mosse . “Offriamo strumenti molto semplici per disattivare l’opzione”, ha spiegato un portavoce.
Mauro Vecchio