Trusted computing e sistemi DRM potrebbero essere un grave problema per le istituzioni statali, in quanto il loro funzionamento sfugge al controllo dell’utente informatico e passa nelle mani di entità multinazionali, spesso distanti migliaia di chilometri. È questa constatazione che ha animato i lavori del gruppo neozelandese per la regolamentazione del futuro dell’informatica.
Finora, è la prima volta che un paese affronta la questione con serietà istituzionale. Il celebre blog BoingBoing , esagerando, parla addirittura “Ministero Neozelandese delle tecnologie DRM”: le intenzioni del gruppo di lavoro sono serie e puntano alla creazione di un corpo normativo per permettere l’uso “sicuro” di DRM e TC in ambito governativo.
Questo significa che i governi, nell’ottica neozelandese, dovrebbero godere della possibilità di conoscere a livello tecnico tutte le nuove tecnologie di protezione: sia nella fruizione dei contenuti, con i DRM, così come nell’uso degli elaboratori, con il TC. Il problema finora preso in esame, come si legge sul sito istituzionale del Governo, è la possibilità che DRM e TC possano minare l’integrità delle informazioni: bloccare la diffusione di un documento o creare problemi nell’accesso alle risorse informatiche statali da parte dell’amministrazione.
Va detto che dal dibattito, fino a questo momento, non emergono voci contrarie all’adozione di TC e DRM quanto più, appunto, ad una “normalizzazione” dell’adozione di queste tecnologie.
Di fatto, la Nuova Zelanda è forse il primo paese ad essersi accorto del più grande problema finora lamentato dagli oppositori del TC e dei DRM: la totale impotenza dell’utente di fronte ad un PC blindato, funzionante in modo insondabile. Non solo: cosa succede se un’istituzione ha necessità di convertire dei file e non può riuscirvi perché questi file sono stati malamente protetti da un DRM mal scelto? Si tratta di rischi che un governo, specialmente nell’era dell’e-government, potrebbe anche fare a meno di correre. Proprio per questo, insistono i promotori neozelandesi, “ci vogliono regole internazionali e condivise per tutti i governi”.