C’è un editoriale di recente apparso tra le pagine online del celebre quotidiano statunitense The New York Times . Si intitola l’algoritmo di Google e non affronta alcun ragionamento di natura tecnica sul modo con cui BigG provvede all’indicizzazione di milioni e milioni di contenuti web.
Piuttosto, rappresenta un attacco velato al motore di ricerca made in Mountain View , che i vertici del NYT hanno condotto a mezzo editoriale. Precisando innanzitutto come Google gestisca quasi i due terzi dell’intero ecosistema delle query a livello planetario. E riportando un certo pensiero degli analisti, secondo cui i vari spazi online dipendano dal search engine californiano per la metà del proprio traffico .
Poche righe per parlare di un presunto strapotere di mercato, alimentato da un algoritmo segreto su cui potrebbero essere espressi i più vari dubbi antitrust . “Quando gli ingegneri di Google – si legge all’inizio dell’editoriale – vanno a modificare centinaia di volte all’anno il suo algoritmo supersegreto, potrebbero danneggiare il business di un sito, facendolo precipitare nel ranking “.
Si tratterebbe di un vero e proprio gioco sporco da monopolista, dal momento che BigG è ormai entrata – sempre secondo il NYT – in troppi ambiti di mercato legati al web. E questo avrebbe provocato un impatto profondo sull’economia di Internet, talmente profondo da meritare un’analisi da parte delle autorità. Che, secondo l’editoriale, dovrebbero così assicurarsi che l’algoritmo venga utilizzato da Google solo ed esclusivamente per migliorare il search .
C’è chi ha quindi parlato di una proposta folle, basata su alcuni punti che andrebbero confutati. Quello di Google non sarebbe un monopolio, dal momento che sono attivi – anche se con risultati decisamente modesti – competitor come Yahoo! e Bing. BigG non avrebbe inoltre eretto alcuna barriera per imprigionare i suoi utenti, liberissimi in ogni momento di lasciare un motore per un altro.
Ultime due obiezioni mosse nei confronti del New York Times. In primis, le autorità antitrust non avrebbero affatto le competenze tecniche per entrare tra i meandri dell’algoritmo di BigG. È stato fatto poi notare come il search di Google sia completamente gratuito – c’è ovviamente la pubblicità – mentre il New York Times ha eretto un paywall per la lettura dei suoi articoli.
E, a proposito di paywall, la risposta della stessa Google all’editoriale pare diventato un piccolo caso online. Marissa Mayer, vicepresidente di BigG, ha deciso di intervenire tra le pagine del Financial Times e non quelle solite del blog ufficiale della sua azienda.
Ma c’è un problema: dopo appena due paragrafi in cui ci si arrovella sul significato di “giaguaro”, l’articolo si interrompe, rimandando subito il lettore alla registrazione. Scatenatesi le reazioni da parte degli osservatori, pare che Mayer abbia poi riflettuto sulla cosa, decidendo di ripubblicare per intero il suo intervento sul policy blog di Google .
“Il search utilizza algoritmi ed equazioni per produrre ordine e organizzazione online, lì dove gli sforzi manuali non riescono – ha spiegato Mayer – Il nostro algoritmo incarna regole che decidono quale sia l’informazione migliore e come misurarla. Chiaramente, definire quale informazione o servizio sia migliore è soggettivo”.
Mauro Vecchio