Secondo i dati raccolti dall’associazione del quotidiani d’America ( Newspaper Association of America NAA ), il 2010 non è stato un anno eccezionale per i quotidiani, che anzi hanno registrato gli introiti pubblicitari più bassi dal 1986. Due progetti che tentano a modo loro di rappresentare un’alternativa ad un modello che, guardando i numeri, appare in declino, sono quelli della nuova rivista di Rupert Murdoch, The Daily e il parziale approccio social del nuovo paywall del New York Times ed entrambi nei prossimi mesi saranno messi alla prova del pubblico.
La spesa totale del settore in advertising tra cartaceo e online è stata di circa 25 miliardi di dollari nel 2010, un calo di 6,3 punti percentuale rispetto al 2009 . Al contrario, l’anno in cui ha esordito iPad ha fatto registrare una crescita degli introiti pubblicitari per i contenuti digitali del 10,9 per cento : una risalita rispetto alla perdita dell’11 per cento del 2009, che tuttavia non basta a compensare la perdita del cartaceo, dal momento che si sta parlando di un volume che complessivamente vale appena per circa il 12 per cento del totale degli introiti dell’editoria.
Se è da lasciarsi alle spalle il 2010, dunque, il nuovo anno attende al varco già in questa prima metà due a loro modo ambiziosi progetti che mirano a rappresentare una strada remunerativa alternativa.
Secondo le stime di alcuni osservatori i primi numeri di The Daily , il giornale di Rupert Murdoch in esclusiva per iPad che ha esordito a febbraio , non sarebbero certo entusiasmanti: il periodo di promozione gratuita si sta chiudendo e il giornale sembra aver raggiunto appena poche migliaia (circa 5mila) di abbonati .
Pur non rilasciando cifre più precise, Greg Clayman di The Daily ha smentito questi numeri affermando che si debba parlare di “molto, molto di più”.
Disponibile per il momento solo negli Stati Uniti (e presto, nella prima metà del 2011, anche in Europa occidentale), il giornale in app diventerà a pagamento dalla prossima settimana, quando finirà il periodo di promozione originariamente di due settimane, poi più volte prolungato: costerà 99 centesimi a settimana, 40 all’anno.
Sarà disponibile a breve anche in Europa occidentale, presumibilmente nella prima metà del 2011, e in particolare nel Regno Unito a giugno .
Il suo progressivo diffondersi è legato anche all’implementazione del nuovo modello di abbonamento imposto da Apple agli editori con le nuove regole di App Store che permettono il pagamento interno alle app per i contenuti editoriali , ma rivendicano per Cupertino il 30 per cento di ogni transazione.
Sul lato del paywall, lo strumento per rendere a pagamento il modello gratuito dei contenuti via Web finanziati dagli introiti pubblicitari, esordisce, come atteso , anche il New York Times .
Lo storico giornale ha scelto una strategia simile a quella adottata da quotidiani come il Financial Times e il Wall Street Journal , che garantisce cioè l’ accesso gratuito fino ad un certo numero di visualizzazioni (20 per il NYT) , oltre il quale è necessario effettuare l’accesso a pagamento : 15 dollari ogni quattro settimane o 195 annualmente per la versione Web, 20 e 260 per la versione iPad oppure 35 e 455 l’anno per il diritto d’accesso illimitato ad entrambe le versioni. Il tutto, poi, compreso nel prezzo dell’abbonamento all’edizione cartacea. Sui dispositivi Apple il 30 per cento di questi prezzi per ogni acquisto effettuato dalla sua app andrà ad Apple, dal momento che il New York Times è uno dei primi grandi editori a sottoscrivere il nuovo modello per il pagamento in-app di Cupertino.
Il paywall, che il Times aveva già sperimentato nel 2005 chiudendolo dopo due anni e 227mila abbonati, ha esordito in Canada, e dal 28 marzo si estenderà agli altri paesi.
Il NYT ha registrato un calo dei profitti del 27 per cento (da 3,3 miliardi nel 2006 ai 2,4 dello scorso anno), quindi che qualcosa dovesse cambiare era nell’aria: le opinioni degli osservatori sono varie , con le critiche concentrate in particolare sul prezzo ritenuto troppo alto e il supporto concentrato sulla necessità di provare comunque a far qualcosa per fermare questa emorragia di profitti.
Tuttavia a far discutere è in particolare quello che sembra un grande buco lasciato aperto nel muro a pagamento alzato dal quotidiano: oltre la soglia dei 20 articoli (già considerata alta di per sé) i lettori avranno accesso agli articoli se li troveranno via Bing o Yahoo!, a un massimo di cinque se trovati con Google (che rappresenta due terzi di tutte le richieste di accesso Web al giornale) o a tutti quelli linkati attraverso Facebook o Twitter.
Non è detto che il modo di leggere le notizie non sia cambiato solo per la gratuità del web ma anche per il ruolo dei social network, sempre più fonte indiretta di news: sembra difficile , insomma, che siano poi molti gli utenti che abbiano interesse a leggere più di venti articoli dei New York Times tolti oltretutto quelli cui sono giunti via social media o motore di ricerca.
A tutto questo bisogna aggiungere i costi e le operazioni derivanti dalla lotta che l’editore dovrà ingaggiare per disinnescare le eventuali contromisure (tool di generazione automatica di tweet dei link agli articoli, sistemi per cancellare i cookie utilizzati per inseguire un utente nelle sue visite, ecc.) e che lo costringeranno presumibilmente a stringere i controlli (ingabbiando anche lettori in buona fede, o i link di condivisione legittimi) o a lasciar aperti inevitabilmente spazi per aggirare il muro eretto.
Claudio Tamburrino