Vienna – Gli stati giocano un ruolo dirimente nella governance di Internet: lasciando le questioni tecniche e organizzative al dialogo tra industria e società civile, dovrebbero garantire il rispetto dei diritti dei netizen , dovrebbero vigilare sul mercato per prevenire la formazione di cartelli che annientano la competitività e favoriscono divari digitali. Ma spesso, rivela il rapporto OCSE ” Governing The Internet “, presentato nei giorni scorsi a Vienna, i governi operano sulla Rete nella direzione opposta, cercando con ogni mezzo “di sopprimere le esternazioni che non approvano, che non gradiscono, che temono”.
“Esprimersi non è mai stato così facile come attraverso il Web”, chiosa nella prefazione del report Miklós Haraszti, rappresentante del gruppo che vigila sulla libertà dei mezzi di informazione. Ma è lo stesso Haraszti a ricordare i dati raccolti da Open Net Initiative , che testimoniano una certa tendenza alla censura dei contenuti online per mezzo di norme contraddittorie come quelle georgiane, o dichiaratamente repressive . Una tendenza che si verifica sia presso governi dittatoriali, sia presso governi democratici, o presunti tali.
Sono numerosi, si legge nel report, i paesi che tentano di soffocare il pluralismo informativo, prerogativa della Rete, e i paesi OCSE non fanno eccezione. Sorvegliato speciale, assurto a case study nel report, è la ex repubblica sovietica del Kazakistan, uno stato impegnato con ogni mezzo in un processo di regressione in ambito ICT . Una strategia determinata dalle politiche del governo, che teme e si oppone ad una Rete nella quale proliferino “menzogne che possano minare la sicurezza nazionale”.
Primo fronte su cui il governo combatte sono le tariffe per accedere a Internet, tariffe mantenute artificialmente alte dall’operatore monopolista, alle dirette dipendenze del governo. Se inaccessibile ai più, la Rete risulta innocua, incapace di rappresentare per la società civile una sede di discussione e un mezzo per diffondere idee e testimonianze.
Secondo aspetto della politica tecnofoba kazaka è la legislazione in materia di Internet. Tutti i siti , senza distinzione di sorta per blog, forum, o servizi di social networking, sono considerati mass media che il governo può vagliare , sottoponendo così ogni netizen alle responsabilità e alle leggi severe che gravano sui giornalisti. Il governo ha inoltre la possibilità di oscurare e costringere al trasferimento coloro che, nel dominio .kz , si permettano di pubblicare contenuti offensivi, sgraditi, temibili.
Il ministro della Cultura e dell’Informazione Yermukhamet Yertysbayev, già sostenitore del controllo estensivo di Internet, ha giocato un ruolo preminente nell’innescare quella che nel report si definisce “spy-mania di stampo sovietico”: colui che si discosta dal pensiero governativo viene bollato come “nemico della nazione”, imbrigliato in filtri censori dai vigili ISP e punito con il carcere.
Ma ora, forse scatenata dal report OCSE, una ventata di democrazia sta investendo il Kazakistan: lo stesso ministro Yertysbayev ha promesso avanzamenti tecnologici, salutari liberalizzazioni, riforme democratiche e libertà di espressione per tutti. Una esternazione quantomeno sorprendente da parte di colui che, citato nel documento OCSE, aveva bollato come ingenui coloro che credevano fosse impossibile controllare Internet.
Gaia Bottà