Prima erano le riviste ad essere demonizzate. Poi arrivò la televisione “cattiva maestra”. E anche i videogiochi non vengono risparmiati, accusati di innescare violenza nelle giovani menti dei giocatori. Ci ha pensato lui: William Fourkiller, deputato della Camera dei Rappresentanti dell’Oklahoma. Ha proposto di mettere una tassa dell’1 per cento sulle vendite dei videogiochi considerati violenti . Nel disegno di legge si intendono per “violenti” tutti i videogiochi che si rivolgono a un pubblico Teen (dai 13 ai 17 anni), Mature (dai 17 anni in su) e Adults Only (dai 18 anni in su). Questo significa che, se la legge dovesse passare, chi vorrà comprare Final Fantasy XIII-2, Skyrim o Star Wars dovrà pagare di più .
Fourkiller è stato per 12 anni un insegnante delle scuole elementari. E sostiene che i videogame violenti aumentino i problemi della nostra società, come l’obesità e il bullismo , che inibiscono l’apprendimento e minacciano la salute dei fanciulli; ma “proprio perché portano molti soldi, possono anche diventare una parte della soluzione”. Difatti il disegno di legge prevede di destinare la metà del denaro incassato dallo stato a un fondo per la prevenzione del bullismo e per la cura dell’obesità. Fourkiller crede davvero che i videogiochi riescano a manipolare il cervello e infatti ha raccontato che un ladro di macchine ha ammesso di aver commesso il furto subito dopo aver giocato a Grand Theft Auto. Però ammette : “Non tutti reagiscono allo stesso modo. Ma credo che dopo aver passato ore ed ore a giocare di fronte a uno schermo le persone si anestetizzino”.
Peccato però che molte delle ricerche effettuate sui giocatori abituali di videogiochi sembrano sfatare le tesi di Fourkiller.
Il professor Henry Jenkins ha pubblicato un saggio intitolato “Otto miti da sfatare sui videogame” in cui evidenziava che chi commette crimini violenti in genere ha un consumo mediatico (e quindi anche videoludico) inferiore rispetto alla media della popolazione.
Il ricercatore Lawrence Kutner ha condotto uno studio nel novembre del 2011 su 1250 adolescenti statunitensi per scoprire a quali videogame preferiscano, perché si divertano proprio con quelli, dove giochino e con chi. I risultati hanno rivelato che i giovani attratti dai videogiochi violenti tendono ad avere più problemi a scuola. Tuttavia Kutner attribuiva la responsabilità di questi comportamenti non tanto ai videogame, quanto alla vita che i ragazzi conducevano. Egli ha infatti ribaltato lo stereotipo comune: se un ragazzo è attratto dalla violenza nella vita reale sarà attratto anche dai videogiochi violenti .
Un altro studioso, Christopher Ferguson, ha fatto notare che nonostante le vendite dei videogiochi siano alle stelle, il tasso di violenza giovanile è il più basso degli ultimi quarant’anni.
La proposta di Fourkiller arriva sette mesi dopo la sentenza della Corte Suprema che, facendo riferimento al Primo Emendamento della Costituzione statunitense, ha impedito allo stato della California di vietare la vendita ai minori dei videogiochi considerati violenti.
E anche il disegno di legge dell’Oklahoma rischia di doversi imbattere su uno dei più importanti capisaldi della “democrazia made in USA”. Tuttavia una sentenza del 1968 della stessa Corte Suprema potrebbe rimescolare le carte in tavola . In quell’occasione, infatti, venne concesso agli stati di promulgare delle leggi che tenessero lontani i bambini dal materiale considerato “osceno”. Essendo una sentenza di 44 anni fa, non si menzionano i videogiochi e, almeno fino ad ora, l’ordinanza è rimasta tale e quale, senza alcuna aggiunta o modifica.
Con ogni probabilità il disegno di legge di Fourkiller non sarà approvato, ma la strampalata proposta ha aperto un dibattito molto ampio. La violenza non è solo videogiocata, né solo mediatica. E la connessione tra la fruizione di violenza e la violenza reale appare ancora da dimostrare.
Gabriella Tesoro