Amsterdam – Strumenti sempre più affilati per i “cani da guardia” del copyright. La Corte Suprema olandese ha ordinato a Lycos di rivelare l’identità di un utente che aveva postato su un sito di cui era membro testi diffamatori riguardanti un commerciante online di francobolli. Nel 2003 A. Pessers, gestore dell’attività commerciale online, aveva denunciato Lycos per ottenere i dati del delatore, che secondo la documentazione depositata in tribunale, avrebbe creato con le sue dichiarazioni non pochi danni finanziari.
Steven Bakker, portavoce della Corte Suprema, ha dichiarato che Pessers aveva dimostrato un danno tangibile , sufficiente ad obbligare Lycos a fornite i dati dell’utente, anche se non si era in presenza di un reato penale. Lycos, infatti, si era rifiutata di rilasciare i dati personali proprio perché non si era evidenziato nessun tipo di presunto reato penale e perché la polizia non aveva effettuato esplicita richiesta per eventuali indagini.
The Brain Institute , l’associazione che rappresenta l’industria dell’intrattenimento olandese e raccoglie i dazi sul diritto d’autore, ha dichiarato che si tratta di una sentenza rivoluzionaria , che permetterà di perseguire anche gli utenti che effettuano file sharing illegale di contenuti video e audio protetti da copyright.
Insomma, si tratterebbe dell’ennesimo caso di aggiramento dei diritti di privacy e di colpevolizzazione dei fornitori di servizi internet. Sebbene la comunità online più scafata e le associazioni per i diritti dei consumatori sostengano da tempo una dura battaglia contro iniziative di questo genere, la cronaca quotidiana è ricca di denunce nei confronti degli ISP. Succede anche in Italia, dove casi importanti, come quello di Catania la scorsa estate, “chiariscono” ruoli e responsabilità di provider ed operatori a fronte di contenuti illeciti.
La novità olandese, che viene osservata con una certa attenzione anche dall’estero, è lo “sconfinamento” di certe azioni di indagine, un tempo strettamente legate all’aspetto penale, in materie di ordine civile. La sentenza olandese – sostiene ora qualcuno – potrebbe erodere ulteriormente, troppo?, il diritto alla riservatezza, messo sempre più all’angolo nell’era digitale.
Dario d’Elia