Il discorso illuminato di Neelie Kroes, Vice Presidente della Commissione Europea, pronunciato nei giorni scorsi al Forum di Avignone lo aveva lasciato intendere a chiare lettere: tra Bruxelles e Lussemburgo, in seno alle Istituzioni UE, qualcosa sta cambiando a proposito dell’approccio all’enforcement dei diritti d’autore. Guai a lasciarsi ossessionare dal copyright, aveva detto la Kroes, che aveva poi proseguito ammettendo, senza troppi giri di parole, che la politica dell’enforcement ad oltranza ed a caro prezzo dei diritti di proprietà intellettuale sin qui condotta ha prodotto risultati fallimentari: è costata molto e non ha risolto nulla.
La Sentenza pronunciata ieri dalla Corte di Giustizia chiude ora il cerchio e conferma che in Europa c’è bisogno di ripensare radicalmente la questione della tutela dei diritti d’autore in chiave meno copyright-centrica.
Oltre al copyright c’è di più, infatti, scrivono i Giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che aggiungono, poi, come “sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dall’art. 17, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”) non può desumersi né da tale disposizione né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto”. Gli stessi Giudici scrivono, inoltre, che “è compito delle autorità e dei giudici nazionali, nel contesto delle misure adottate per proteggere i titolari di diritti d’autore, garantire un giusto equilibrio tra la tutela di tali diritti e quella dei diritti fondamentali delle persone su cui incidono dette misure”.
Il diritto alla privacy degli utenti delle reti di comunicazione elettronica, la libertà di comunicazione e manifestazione del pensiero e la libertà di impresa degli internet service provider sono i diritti e le libertà fondamentali che, secondo i Giudici della Corte di Giustizia, non possono rimanere schiacciati e triturati – come, purtroppo, troppo spesso sin qui accaduto – in nome della tutela del diritto d’autore.
Non si può chiedere ad un intermediario della comunicazione di sostenere costi abnormi e condizionare la propria libertà di iniziativa economica e di impresa per tutelare gli altrui diritti di proprietà intellettuale e, soprattutto, non gli si può chiedere di farlo in maniera generale ed indiscriminata, trasformando un imprenditore in uno sceriffo e/o nel braccio armato della legge.
Allo stesso modo è inammissibile – e nella Sentenza della Corte di Giustizia è, finalmente, scritto in modo inequivocabile – travolgere il diritto alla privacy degli utenti e quello a scambiarsi e comunicare ogni genere di contenuto solo per evitare che si scambino e comunichino anche contenuti ritenuti protetti da diritto d’autore.
Le regole del diritto d’autore, quelle sulla privacy, quelle in materia di informazione e quelle a tutela della libertà di impresa devono convivere senza che le une possano essere ritenute sovra-ordinate rispetto alle altre.
Punto, a capo e si cambia registro.
È questo il messaggio, non scritto in modo esplicito, che può e deve leggersi tra le righe della decisione della Corte di Giustizia e nelle parole della Vice Presidente della Commissione Europea Kroes. E in Italia? Riusciremo ad afferrare il messaggio?
C’è da augurarselo anche se i segnali sono, sin qui, tutt’altro che positivi.
Come è noto, infatti, pendono allo stato nel nostro Parlamento ben tre disegni di legge gemelli attraverso i quali si propone appunto di obbligare – addirittura per legge – tutti gli internet service provider ad adottare adeguati dispositivi di filtraggio idonei a prevenire eventuali violazioni di diritti di proprietà intellettuale ed industriale. Si tratta, esattamente, della pratica che i Giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea considerano vietata.
“Le direttive UE (quelle in materia di diritto d’autore, privacy e e-commerce, ndr) lette in combinato disposto e interpretate tenendo presenti le condizioni derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali applicabili, devono essere interpretate – scrivono i Magistrati della Corte – nel senso che ostano all’ingiunzione ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre un sistema di filtraggio: – di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, in particolare mediante programmi “peer-to-peer”; – che si applica indistintamente a tutta la sua clientela; – a titolo preventivo; – a sue spese esclusive, e – senza limiti nel tempo, idoneo ad identificare nella rete di tale fornitore la circolazione di file contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva rispetto alla quale il richiedente affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare il trasferimento di file il cui scambio pregiudichi il diritto d’autore”.
Questo mentre i nostri zelanti parlamentari, certamente tirati per la giacchetta da questa o quella lobby dell’industria dei contenuti, vorrebbero addirittura far passare il principio secondo il quale i provider sono responsabili se non adottano appositi dispositivi di filtraggio – che, sia detto per inciso, neppure esistono o, comunque, sono ben lontani dal potersi dire efficaci.
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dal canto suo, si avvia a varare un Regolamento attraverso il quale, egualmente, pone la tutela del diritto d’autore in una posizione sovra-ordinata rispetto ad ogni altro diritto, accettando il rischio che contenuti costituenti la libera manifestazione del pensiero di un utente siano rimossi dallo spazio pubblico telematico senza che quest’ultimo sia neppure posto nella condizione di difenderne la pubblicazione.
La Commissione europea, in realtà, nei giorni scorsi – a conferma che da Bruxelles ora soffia un vento diverso – ha preso carta e penna ed indirizzato all’AGCOM parole assai poco lusinghiere in relazione allo schema di Regolamento che è stato, sostanzialmente, bocciato nella forma e nella sostanza.
Anche in questo caso c’è da chiedersi se l’Autorità avrà il coraggio di fare ammenda dei propri errori – o, almeno, eccessi – e ritornare sui propri passi, rinunciando al varo del proprio regolamento o riscrivendolo con un approccio più equilibrato e meno copyright-centrico.
L’Unione Europea, insomma, ci richiama all’ordine e, se non vogliamo continuare ad essere la cenerentola della società dell’informazione, forse, questa volta, ci converrà ascoltarla.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it