La mappa della corteccia cerebrale è ad alta risoluzione. Ed evidenzia come il cervello disponga di una propria “Stazione Centrale”, una sorta di hub connesso con molte altre parti del corpo e del cervello stesso.
Alla base della scoperta c’è l’impiego del cosiddetto spectrum diffusion imaging , una tecnica che rende percepibile il ginepraio di piccole fibre che trasportano i segnali nervosi tra le cellule. Il primo obiettivo è studiare le connessioni in soggetti affetti da Alzheimer, schizofrenia e autismo, nella speranza di far luce sui cambiamenti che avvengono nei cervelli di persone affette da tali complesse patologie.
“Il fatto stesso che questo hub esista ci permette di porci nuove domande”, spiega a Technology Review Olaf Sporns , neurologo dell’ Indiana University e autore dello studio. “Cosa succede là? E come collaborano le diverse parti del cervello nel trasmettersi messaggi?”, si domanda lo scienziato.
La risonanza magnetica – spiega la rivista del MIT – riesce ad evidenziare le principali caratteristiche anatomiche del cervello. Ma finora le parti più complesse e al contempo interessanti come le proiezioni neurali che ne connettono le diverse parti sono rimaste un mistero: è stato possibile prendere visione solo di “ombre delle loro superfici”, spiega Van Wedeen , neurologo del Massachussets General Hospital .
Per rivelare il nucleo essenziale della “rete”, Sporns ha impiegato una tecnica matematica per eliminare, livello dopo livello, i punti con minori connessioni . “Se lo si fa gradualmente – dice – si finisce con il vedere i nodi importanti, con il maggior numero di connessioni”. La zona più densa di connessioni si trova nella parte posteriore del capo. La similitudine, peraltro spontanea, con altre strutture simili – ivi compresa la stessa rete Internet – porta gli scienziati a concludere che si tratti della zona più importante per il ruolo che svolge nel suo complesso.
Sono i primi passi – spiega Marco Catani , neurologo dell’ Istituto di Psichiatria di Londra – e le attuali tecniche richiedono tempi di scansione più lunghi di quelli previsti nelle strutture cliniche. Pertanto, “con questi tempi, al momento non sarebbe pratico analizzare grandi numeri di pazienti”.
Si è comunque aperto un nuovo orizzonte, si è iniziato a sperimentare con una nuova, promettente tecnologia che, superati gli stadi evolutivi, potrebbe offrire informazioni basilari per le indagini in quei soggetti le cui patologie sono oggi ancora di difficile – o impossibile – studio.
Marco Valerio Principato
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