L’autenticazione universale e “federata” di OpenID avrebbe dovuto rappresentare la fine del proliferare incontrollato di username e credenziali di accesso, e invece pare proprio che a vincere sia ancora una volta il business in rete piuttosto che la volontà di salvaguardare i dati degli utenti.
OpenID è in stallo: a confermare lo stato di cose per un progetto di cui non si sente parlare da un tempo infinito (informaticamente parlando) non è solo l’avanzata di progetti concorrenti e alternativi come BrowserID di Mozilla , ma anche la crescita di interesse presso gli investitori nei confronti di iniziative quali Janrain .
La società americana si è appena assicurata fondi per 15,5 milioni di dollari, con l’obiettivo di raggiungere una situazione tale da poter investire nello sviluppo della sua piattaforma di autenticazione software per aziende.
Come OpenID, il sistema di Janrain permette ai grandi marchi di autenticare tutti i servizi terzi su cui sono presenti (Facebook, Google, Twitter, MySpace, PayPal e via elencando) su un unico server. Al contrario di OpenID, l’operazione non serve a ridurre il numero di userID disseminate in giro per il web quanto piuttosto a gestire da un sistema centralizzato i profili dei “propri” utenti e tutti i dati sensibili e personali connessi.
Janrain è in sostanza una sorta di OpenID per aziende , e i clienti di primo piano attivi sul servizio comprendono colossi del calibro di Intel, MTV, HarperCollins, Sears e Citysearch. Morto – pare definitivamente – il “sogno” dell’autenticazione universale per l’utente, resta da sfruttare fino all’ultima oncia di bit quello del tracciamento universale degli utenti – con il loro permesso e la loro approvazione, s’intende.
Alfonso Maruccia