Un annuncio senza cerimonie sancisce la chiusura , il prossimo 15 gennaio 2015, dei servizi remoti da cui dipende webOS, sistema operativo mobile dalla storia travagliata: nella fatidica data si potrà considerare definitivamente “morto”, per gli sviluppatori e (forse) per gli utenti di gadget Palm.
All’inizio del prossimo anno, comunica Hewlett-Packard, App Catalog e gli altri servizi “cloud” di webOS verranno messi definitivamente a riposo; prima di allora, però, verrà inibita la possibilità di acquistare nuove app per l’OS (1 novembre 2014), e poi quella di sottoporre nuove app da parte degli sviluppatori (10 novembre 2014).
C’è ovviamente ancora tempo, in queste poche settimane che ancora tengono in vita webOS, per il download , il patching e il backup delle app acquistate dagli utenti cosicché possano continuare a funzionare anche quando il cuore remoto del sistema mobile verrà spento per sempre. Dopo il 15 gennaio, l’unica possibilità per caricare nuove app sui gadget webOS sarà quella offerta dal sistema di sideloading di codice fatto in casa noto come Preware .
Il 15 gennaio 2015 termina dunque una storia travagliata come poche nell’ambito del mercato tecnologico, una storia che anni fa ha portato la promettente piattaforma mobile di Palm nel tritacarne dell’HP gestita dall’ex-CEO Leo Apotheker, quella che voleva infilare webOS in ogni pertugio , gadget e PC e che ha invece finito per compensare gli azionisti furibondi dopo essere stata accusata di frode.
Lo spirito open source di webOS (frutto di Open webOS, ultima iniziativa di HP prima dell’abbandono) rivive, almeno idealmente, in LuneOS , mentre l’anima commerciale e il team di sviluppatori ex-Palm sono entrati a far parte della scuderia LG che ne ha tirato fuori un prodotto embedded per SmartTV.
Ma anche il colosso asiatico, a quanto pare, ha i suoi problemi nel gestire webOS, con difficoltà di carattere soprattutto culturale che comporta l’integrazione fra gli interessi e i metodi di lavoro di un’azienda sudcoreana con il modo di lavorare, di pensare e anche di esprimersi degli 80 ingegneri di base nella Silicon Valley californiana.
Alfonso Maruccia