Roma – Tra i giganti del software Oracle guida quel gruppo di aziende che, nelle proprie licenze, conteggiano i core integrati in un processore come CPU separate. Con una parziale virata, il colosso dei database ha ora deciso di modificare la propria politica di licensing considerando ciascun core come il 75% di una CPU.
Per fare un esempio, il costo della licenza necessaria per far girare Oracle 10g Enterprise Edition su di un server a quattro vie (4 CPU) basato su processori dual-core era in precedenza di 320.000 dollari: 40.000 dollari, che è il prezzo della licenza per CPU, moltiplicato il numero complessivo dei core (4 CPU x 2 core = 8 core). Da oggi la stessa licenza costerà 240.000 dollari, ossia il 25% in meno (0,75 x 8 core x 40.000 dollari).
È curioso notare che se il numero di core fosse dispari (caso molto insolito), e il risultato della moltiplicazione con il fattore 0,75 generasse un valore decimale, Oracle arrotonderebbe al prossimo numero intero più grande: ad esempio, un chip con 11 core richiederebbe la stessa licenza di un processore con 9 core (11 x 0,75 = 8,25 -> 9).
Il nuovo modello di licensing prevede un’importante eccezione per i prodotti Standard Edition One e Standard Edition: quando questi software girano su di un server con un solo processore dual-core, il prezzo della relativa licenza viene conteggiato sulla base di un solo core.
Al momento non è chiaro se questi prezzi si applichino solo ai processori x86 di Intel e AMD o valgano anche per quelli RISC.
Va ricordato come sia Intel che AMD abbiano già da tempo raccomandato ai produttori di software di considerare i processori dual-core alla stessa stregua di singole CPU. Un messaggio subito recepito da Microsoft, che già lo scorso ottobre annunciò che le sue licenze non avrebbero fatto distinzione tra chip a singolo o a doppio core. Una strada che stanno per imboccare anche IBM e diversi altri big del settore.