Nella lunga disfida legale tra Google e Oracle sulle API Java c’è infine un vincitore: si tratta di Google, che esce con in tasca la ragione grazie alla decisione firmata dalla Corte Suprema USA. La disputa inizia nel 2010 e termina del 2021, dopo 11 anni di carte bollate che hanno alternativamente dato ragione all’una e all’altra parte nel contesto di una disputa di difficile interpretazione e lettura legale.
Oracle vs Google, vince il fair use
L’ultimo nodo è stato sciolto dalla Corte Suprema che, a firma del giudice Stephen Breyer (pdf), ha messo nero su bianco una decisione la cui importanza va ben oltre la sola disputa tra le due aziende. Il problema era stato sollevato originariamente da Oracle che rivendicava il copyright sulle 37 API Java utilizzate da Google nella virtual machine di Android. Nel 2016 la ragione era nelle mani di Google, che era riuscita ad imporre la logica del “fair use”. Due anni più tardi, nel 2018, la sentenza era invertita in favore di Oracle mettendo in secondo piano la logica per cui bastasse la gratuità del servizio a giustificare il “fair use”.
I titoli di coda sono arrivati in queste ore: la Corte Suprema ritiene una forzatura il copyright rivendicato da Oracle e ritiene che la logica Google possa rientrare nel perimetro del “fair use”. Una decisione strettamente incentrata sulla speciale categoria delle API, dunque tecnicamente dettagliata ed estremamente approfondita. Una decisione che analizza la fattispecie di un utilizzo di un software particolare, quindi, e che non va interpretato per estensione ad altri ambiti. Una decisione, però, che chiude la vertenza e che ribadisce l’importanza del copyright in tema software proprio attraverso una maggiore e miglior determinatezza della logica del fair use.