Non si è trattato di uso legittimo, non si è distinto fra abuso del diritto di riproduzione e violazione del diritto di distribuzione: Joel Tenenbaum ha consapevolmente violato il diritto d’autore. Nonostante fosse supportato da un team legale più che agguerrito, Tenenbaum ha capitolato: alla giuria è spettato solo accordarsi sull’entità del risarcimento: 675mila dollari.
Tenenbaum, 25enne laureato presso l’Università di Boston, è uno dei pochi cittadini statunitensi accusati di violazione del diritto d’autore ad aver affrontato i detentori dei diritti in tribunale, senza piegarsi alle richieste di accordo che l’industria dei contenuti avanza nei confronti di coloro che vengono colti ad abusare della propria connettività. Ha perseverato nel difendere la propria posizione, è stato affiancato dall’avvocato Charles Nesson , docente di Harvard, e dai suoi studenti. Il manipolo di avvocati della difesa era pronto a sbaragliare le accuse scagliate da Sony, avrebbe voluto garantire una visibilità globale alla decostruzione delle testimonianze e delle strategie dell’industria, avrebbe voluto infliggere ai colossi del copyright un fendente mediatico capace di sgretolare anni di pressioni esercitate sui cittadini della rete.
L’obiettivo era quello di fare leva sull’ incostituzionalità degli strumenti imbracciati da RIAA: Nesson avrebbe voluto dimostrare che l’uso di strategie di controllo delle reti P2P quali quelle offerte da MediaSentry costituiscano una violazione del diritto alla riservatezza del cittadino; avrebbe voluto mettere in luce come l’industria tenda a confondere l’atto di condividere con l’atto di di distribuire i file, avrebbe voluto fare chiarezza sull’impossibilità di stimare l’entità delle richieste di risarcimento senza disporre delle prove dell’avvenuta disseminazione delle opere in questione. La tattica della difesa si è infranta contro il passato di Tenenbaum.
Durante le udienze non si è discusso di fair use, istituto che a parere del giudice Nancy Gernter non può dilatarsi tanto da ricomprendere la violazione del copyright per uso personale, non ci si è soffermati sui diritti garantiti dalla Carta Costituzionale, né si è mossi sul crinale che distingue diritto di distribuzione, messa a disposizione e riproduzione. Semplicemente si è ricostruita la storia a partire dal canovaccio presentato in tribunale dagli avvocati di Sony: al 10 agosto 2004, questo mostravano le informazioni raccolte dall’industria a mezzo MediaSentry e con la collaborazione del provider che serviva il giovane, Tenenbaum deteneva nella cartella condivisa del proprio client P2P 800 brani musicali. L’analisi dei trascorsi del computer di Tenenbaum ha mostrato che il giovane, fin dal 1999, si è abbeverato al P2P con la mediazione di numerosi client, senza tenere conto degli avvertimenti già recapitati dall’industria a suo carico. È stato accusato da Sony di aver violato la legge sul diritto d’autore per aver scaricato e condiviso 30 brani .
“L’ho fatto, sì”: così Tenenbaum ha risposto all’incalzare delle domande dell’accusa, così, di fronte agli screenshot catturati da MediaSentry, ha ammesso di aver agito con “l’obiettivo di ottenere la massima quantità di musica possibile con il minimo sforzo”. Il 25enne ha ceduto le armi, ha riconosciuto di aver mentito nelle precedenti deposizioni.
Poco importa che l’avvocato Nesson abbia osservato che “Chiunque può scaricare canzoni senza pagare” e che “milioni e milioni di persone l’hanno fatto”, poco importa che “Joel è solo uno di questi milioni”: il giudice ha dichiarato Tenenbaum colpevole, alla giuria popolare è rimasto solo il compito di preparare il conto. Ai dieci giurati, dopo la colorita arringa densa di riferimenti alla buona fede di Tenenbaum e alla dipendenza data dalla musica che fluisce sui circuiti P2P, è stata affidata la responsabilità di soppesare il caso di Tenenbaum e di stabilire l’entità del risarcimento, oscillando tra un minimo di 750 dollari per brano fino ad un massimo di 150mila dollari.
Si è deciso per 675mila dollari, il corrispettivo di 473mila euro, oltre 15.700 euro a brano il prezzo da pagare. È una somma più contenuta rispetto ai quasi due milioni di dollari chiesti a Jammie Thomas , protagonista del primo caso di violazione del diritto d’autore a mezzo P2P che si sia risolto in un processo, ma si tratta in ogni caso di un risarcimento che Nesson ha definito “da bancarotta”.
Tenenbaum ha dichiarato di non poter pagare, Nesson ha promesso il ricorso in appello. RIAA, che sembrava voler rinunciare a scagliarsi personalmente contro gli utenti per condurre le propria crociata con la mediazione dei provider, esprime soddisfazione per l’esito del caso, per aver redento il giovane: “apprezziamo il fatto che il signor Tenenbaum abbia alla fine riconosciuto che gli artisti e le etichette meritino di essere pagate per il proprio lavoro. Fin dall’inizio il caso ruotava attorno a questo – commentano i rappresentanti dell’industria della musica in un comunicato – ci saremmo solo augurati che lo avesse fatto prima, invece di mentire a proposito del suo comportamento illegale”.
Gaia Bottà