Jammie Thomas è colpevole e dovrà pagare 220mila dollari di multa . Questo il responso del primo procedimento giudiziario a carico di un utente di file sharing che negli USA sia mai finito dinanzi ad una giuria. Una giuria che ha decretato la colpevolezza della donna per condivisione di 24 file musicali.
Ciascuno di quei file, è stato decretato , costerà alla Thomas qualcosa come 9.250 dollari . Le major in realtà avevano individuato più di mille file che a loro dire l’utente aveva condiviso tramite Kazaa negli scorsi anni, ma nel procedimento vero e proprio l’accusa si è concentrata su 24 casi, riuscendo a convincere la giuria che effettivamente sia stata la Thomas a porli in condivisione.
La donna, infatti, ha negato fin dall’inizio di aver mai usato Kazaa o di aver posto in condivisione file musicali, di cui non vi era peraltro traccia sul suo computer quando fu denunciata, ma le prove delle major sembrano aver dimostrato il contrario . Le prove riguardano in buona sostanza il rilevamento dell’IP della Thomas sulla rete di Kazaa da parte dei sistemi di monitoraggio delle reti P2P attivati dall’industria musicale. A loro dire sotto lo pseudonimo di tereastarr avrebbe “operato illegalmente per distribuire file protetti da diritto d’autore senza autorizzazione” agli altri utenti di Kazaa. Secondo i testimoni, ovvero il provider e una società di sicurezza, “tereastarr” non poteva che essere la donna.
Dopo il pronunciamento della sentenza a carico della 30enne, il suo avvocato Brian Toder ha spiegato ai giornalisti che la Thomas era a pezzi. E ha spiegato: “Questa è una donna che vive di assegni di sostentamento ed ora improvvisamente rischia che un quarto di questo assegno per tutta la vita le sia sottratto”. Gabriel, che ha spiegato come oltre alla multa sul groppone della Thomas si trovino ora anche le spese legali dell’accusa, che potrebbero arrivare a mezzo milione di dollari , si è comunque detto fiducioso che le imprese discografiche “sia gente con cui si possa parlare”.
D’altro canto il verdetto serve alle major, in questo caso EMI, Sony, Warner, Universal ma anche Arista Records e Interscope, per poter affermare che “un messaggio è stato mandato” agli utenti P2P. A loro dire questo messaggio è un deterrente all’uso del P2P ma, stando a quanto si legge su un blog dedicato al caso il vero risultato potrebbe consistere in un ulteriore danno per l’immagine già traballante delle società discografiche. Si vedrà.