Roma – Lo avevano detto. E ora, mentre partono i primi jukebox di distribuzione musicale a pagamento in Italia e in Europa, sta per accadere: anche in Italia, come già negli Stati Uniti e in altri paesi, l’industria discografica sta mettendo a punto una offensiva legale contro la condivisione non autorizzata di brani sulle piattaforme del peer-to-peer.
Per cercare di capire come si muoveranno i detentori di diritti d’autore qui da noi e cosa ci si può attendere già nelle prossime settimane, Punto Informatico ha intervistato Enzo Mazza , direttore generale della Federazione industria musicale italiana . Un approfondimento tanto più necessario dopo che ieri l’industria fonografica internazionale associata alla IFPI ha ulteriormente ribadito che la propria strategia globale comprende l’attacco agli usi illeciti di Internet che a suo dire provocano danni al settore e, a cascata, alle economie di interi paesi ( qui la nota di IFPI).
Punto Informatico: Prima di tutto chiariamo un concetto che non è sempre sembrato chiaro a tutti: condividere musica in rete è illegale in Italia?
Enzo Mazza: La legge che ha recepito la Direttiva europea in materia ha anche chiarito gli aspetti riguardanti la copia personale. Vale la pena di rammentarlo.
L’articolo 71-sexies della legge 633/1941 stabilisce che la copia privata deve essere esclusivamente personale e non deve avere fini direttamente od indirettamente commerciali.
La norma aggiunge che la realizzazione della copia privata non può essere affidata a terzi e che essa deve trarre origine da un originale .
PI: In sintesi, dunque, siamo di fronte ad un fatto platealmente illegale
EM: E’ opinione comune di tutti i giuristi e degli esperti che non vi siano dubbi sull’illiceità della condivisione di opere protette da copyright. Ho anche avuto modo di apprezzare che la “Guida ad un uso consapevole dei sistemi p2p” a cura di newglobal.it , che offre ampio spazio alle tematiche della tutela del copyright, conferma che la condivisione di file musicali tutelati è illegale.
PI: Su Punto Informatico se ne parla tanto, e molte cose sono giunte anche sui media generalisti: a suo parere gli utenti italiani del P2P sono consapevoli che certe attività non sono lecite?
EM: Secondo dati rilevati a dicembre 2003 da Ac Nielsen sono oltre 3 milioni gli italiani attivi sul P2P. Il 50% è consapevole che scambiare musica protetta da copyright è illegale, c’è un 25% che ritiene che sia legale e un 25% che dice di non saperlo.
Diciamo che sul piano della pirateria tradizionale i dati non sono molto diversi. C’è ancora chi compra all’angolo della strada CD pirata e crede che sia un’attività legale.
PI: Avete dichiarato di aver già denunciato alcuni grandi uploader di musica, cioè italiani che distribuivano grandi quantità di musica via peer-to-peer. Di quali quantità stiamo parlando?
EM: In recenti operazioni che hanno coinvolto soggetti attivi nella riproduzione e distribuzione di musica pirata in rete le forze dell’ordine hanno perseguito diversi uploader. Alcuni avevano migliaia di file ed erano sistematicamente connessi ai maggiori software P2P.
Altri casi hanno invece riguardato i dialer che offrivano, tramite connessioni quali il prefisso 709 migliaia di file illegali, ma questi sono casi diversi.
PI: Come avete fatto ad individuarli? Avete raccolto il loro IP e avete sporto denuncia contro ignoti? Avete a disposizione qualche software capace di scorazzare nelle reti P2P a caccia degli IP che condividono musica?
EM: Noi seguiamo una strada, quella della denuncia penale , che ha dato ottimi risultati.
Le forze di polizia italiane hanno ottimi investigatori online e i mezzi offerti dal codice penale e dal codice di procedura penale per contrastare l’attività illecita consentono rapide e efficaci indagini.
PI: Di fatto, quindi, voi non svolgete una indagine specifica
EM: Non è diverso da quando in strada vediamo un venditore con CD falsi. Non c’è bisogno di mettersi a cercare i dati del soggetto o a seguirlo per vedere dove abita. Non è un compito nostro. Noi segnaliamo il fatto di rilevanza penale e ci preoccupiamo di fornire, ove richiesti, un’assistenza tecnica, tramite l’unità antipirateria FPM.
PI: Negli USA nei mesi scorsi l’industria discografica ha individuato centinaia di utenti del P2P a cui ha inviato lettere di diffida prima di formalizzare una denuncia. Avverrà lo stesso anche qui in Italia?
EM: Non è necessario. Poteva essere utile nel caso di un’azione civile. PI: Possiamo dire che chi condivide piccole quantità di file musicali non corre il rischio di una denuncia?
EM: Non ci sono soglie minime per legge, questo va detto per non dare messaggi che siano fuorvianti. In ogni caso il nostro maggiore interesse è colpire i fenomeni più rilevanti.
PI: Ma quindi cosa rischia un italiano che venisse denunciato per aver condiviso sulle piattaforme del peer-to-peer centinaia di brani musicali? Negli USA la RIAA ha proposto delle composizioni extragiudiziali delle singole vicende: ci sono grandi downloader che se la sono cavata pagando 2 o 3 mila dollari
EM: Le composizioni extragiudiziali sono possibili in caso di azioni civili. Come detto, la strada che abbiamo intrapreso è quella della denuncia penale. Ci costituiremo in giudizio come già fatto in altri casi chiedendo il risarcimento dei danni . Saranno i giudici a valutare.
PI: Non temete che un giro di vite sul file-sharing, diretto a colpire i singoli utenti, possa allontanare i consumatori e gli appassionati dalle proposte dell’industria discografica e alienarvi delle simpatie?
EM: Vi sono utenti che sono consapevoli del danno procurato, e stanno danneggiando anche la filosofia stessa del P2P. Il file sharing potrebbe avere delle opportunità di sviluppo anche per il mercato legale , pensiamo a strumenti come il viral marketing , ma così com’è non decollerà mai, e le società come Sharman Networks che cavalcano gli utenti con battaglie contro l’industria dei contenuti troveranno sempre meno ascolto perchè è chiaro a tutti che strumentalizzano la faccenda solo a fine di business.
PI: Ma non ci si può fermare alle denunce
EM: L’industria deve velocizzare la propria strategia di offerta in rete e dall’altra parte deve offrire più contenuti. Il caso del DVD musicale è eclatante. Un mercato che è cresciuto del 170% in Italia solo nel primo semestre 2003 e che è esploso a Natale.
Pur non compensando le perdite del segmento CD, ha mostrato che i consumatori sono attratti da proposte aggiuntive e di qualità. I DVD musicali più venduti nel 2003 vedono star come Vasco Rossi, U2, Springsteen, Peter Gabriel, i Queen e i Pink Floyd con eccezionali performance live che hanno sfruttato l’effetto dell’home theathre e i consumatori ci si sono buttati a capofitto senza farsi troppi scrupoli sul fronte del prezzo .
L’aggiunta dell’immagine ad un audio di qualità ha dato al CD quello che gli mancava. Molti pensavano a strategie sul DVD audio e sul superaudio CD ma per ora la svolta è stata molto più semplice e solo con il Dolby Digital o al massimo il DTS.
PI: A questo proposito: da tempo la condivisione di musica via Internet viene considerata uno dei maggiori problemi per il mercato discografico. E’ possibile stabilire in quale misura il download selvaggio, chiamiamolo così, colpisce le vendite di musica? Con quali criteri si può misurare una cosa del genere?
EM: C’è una battuta che si può fare. Ad un certo punto si erano susseguiti studi e dichiarazioni secondo cui il file sharing di brani musicali produceva un aumento degli acquisti . I dati di mercato mondiali ed in particolare dei Paesi con una maggiore penetrazione del broad band e del P2P hanno mostrato un calo complessivo , soprattutto tra la fasce di consumatori di musica che sono anche più attive nel P2P. Quindi, alla fine c’è una fetta molto consistente di navigatori che se può scaricare gratis non compra , questa è la verità. E non compra anche se i prezzi sono bassi o sono sistematicamente in calo.
PI: A suo parere succede anche in Italia?
EM: In Italia, e non lo dice la FIMI, ma lo dicono i dati della distribuzione, e perfino un provvedimento dell’Antitrust, il prezzo medio del CD è calato del 9,3 % nel 2002. Non solo, le case discografiche hanno fatto ampio ricorso a continue campagne su cataloghi pop, rock, jazz, classica, ecc. ma le stesse catene di distribuzione hanno costantemente promosso novità o dischi in classifica a prezzi ridotti. Lo stesso titolo novità si può trovare a 21 euro ma anche a 14,99 a seconda degli sconti praticati dal commerciante. Sono aumentate a dismisura le confezioni con due o tre dischi al prezzo di uno. Bisogna anche ricordare che sul prezzo finale del compact disc incidono in maniera non irrilevante il margine del commerciante, che arriva fino al 30-35 %, e l’IVA, al 20 % contro ad esempio il 4 % per un libro.
Le vendite ad unità sono cresciute ma i fatturati si sono ulteriormente ridotti e quindi si deve da un lato favorire il decollo di nuovi canali distributivi legali e dall’altro colpire l’attività illecita in qualsiasi contesto.
PI: Come a dire che l’industria sta facendo tutto il possibile per reagire…
EM: C’è un riflesso molto negativo della crisi di mercato che si tende ad ignorare. Quelli che soffrono di più sono gli artisti emergenti e spesso le etichette indipendenti che fanno un grosso lavoro di ricerca creativa. A causa della riduzione dei fatturati tutta la filiera sta entrando in crisi. Qualcuno può godere che le grandi major vivano momenti di difficoltà ma nel bene o nel male da lì arrivavano i maggiori investimenti che consentivano di lanciare e promuovere nuovi artisti.
La piccola etichetta fa la ricerca, scopre il talento e poi le grandi case finanziano magari l’ulteriore sviluppo, la penetrazione su altri mercati, la promozione e il marketing. Oggi questo sistema è in crisi. Le grandi aziende si concentrano sui titoli degli artisti che consentono di fare più fatturato per compensare le gravi perdite, tagliano gli artisti minori e disinvestono dal nuovo e ciò crea problemi anche alle etichette indipendenti e agli artisti emergenti. PI: Ma la rete e il P2P non possono in fondo essere degli alleati per la promozione, soprattutto degli artisti emergenti?
EM: Non si dica che basta mettere i brani in rete per farsi conoscere o diventare famosi. Oggi una promozione seria ha costi incredibili anche in rete e inoltre chi ha poco catalogo riesce sempre meno a competere. Ci sono state start-up che hanno fatto il loro credo far conoscere giovani artisti e band in rete. Non hanno potuto competere con Napster che offriva Madonna, i REM, Radiohead o Ligabue gratis e poi con la distribuzione sul P2P.
Mi piacerebbe sapere dagli appassionati di musica se procedendo con l’attuale sistema, ovvero la distribuzione gratuita di brani musicali riprodotti senza autorizzazione, dove pensino di poter reperire nuova musica? Se non si guadagna nulla non si può investire e se non si investe non si crea. Scaricheremo tutta la vita i soliti nomi? Chi si assumerà più il rischio di impresa , investendo sulla nuova musica, forse le società di telecomunicazioni che vendono l’ADSL? Non credo.
PI: In Italia stanno partendo proprio ora i primi jukebox a pagamento, come quello di MessaggerieMusicali o di Tiscali-OD2. È un mercato che altrove è già esploso e sta crescendo rapidamente. La musica in rete si vende bene. Che aspettative avete per il mercato italiano? Basterà la distribuzione legale online a compensare il calo nelle vendite dei supporti tradizionali (CD)?
EM: Ritengo che il mercato europeo avrà dinamiche di crescita molto forti, con molti player che si muoveranno e in tale contesto anche quello italiano avrà buoni spunti.
Negli ultimi tre mesi il mercato europeo è cresciuto del 30 % con oltre 300 mila brani disponibili legalmente. Sono oltre 30 le piattaforme legali disponibili nei vari Paesi membri. Ci sono brani disponibili di major e di case indipendenti tra le più note al mondo e ogni giorno vengono aggiunti nuovi titoli. Per non parlare di altri business model come il webcasting per il quale l’industria discografica ha lanciato di recente una licenza unica valida per tutti gli Stati firmatari. Significa semplificare la vita a molti webcaster che non si troveranno a dover negoziare con ogni singola casa discografica e per ogni Paese.
PI: Avete già determinato una tempistica per questa campagna contro l’uso illegale del P2P in Italia? Quando partiranno le prime denunce?
EM: Siamo ad un stadio sufficientemente avanzato per poter vedere i risultati a breve.
PI: È l’inizio della fine per le piattaforme peer-to-peer “prima maniera”?
EM: Circola anche roba ben peggiore della musica pirata sul P2P. Forse sarebbe l’ora di riflettere, tutti insieme, compresi ISP e società di telecomunicazioni, su sistemi di filtraggio del materiale illecito, che consentano di sfruttare la tecnologia peer-to-peer legalmente, favorendone lo sviluppo come canale di distribuzione.
Intervista a cura di Paolo De Andreis