Arriva dall’Arizona quello che si configura come un pericoloso precedente per tutti i “John Doe” musicomani americani, i cittadini comuni che RIAA ha portato in tribunale per presunta condivisione di contenuti protetti da copyright per mezzo del file sharing: il giudice Neil Wake ha stabilito che la famiglia Howell, a cui è riconducibile una cartella di file condivisi sul client P2P Kazaa contenente quasi 2.400 MP3, è responsabile per di distribuzione illecita dei suddetti anche nell’ipotesi in cui non ci sia stato alcun download di quei file da parte di terzi.
Jeffrey Howell è stato individuato grazie all’azione investigativa di Mediasentry , che ha setacciato i file di uno dei PC di casa, scoprendo la presenza dei brani incriminati. L’uomo ha provato a difendersi sostenendo che in effetti durante le ricerche dei cybercop lui non era in casa ma a lavoro, non potendo in questo modo essere responsabile della condivisione, che i file erano entrati in suo possesso legalmente e che la presenza dei brani nella cartella condivisa di Kazaa era opera di hacker .
Linea difensiva che non è servita a molto, visto che il giudice distrettuale ha stabilito che “Chi possiede una collezione di lavori che rende disponibili al pubblico può essere tacciato di aver distribuito copie dei lavori in violazione della legge sul copyright”. Non importa insomma la presenza fisica di Howell al PC, né che le tracce fossero state acquistate legalmente: il giudice ha citato il caso Napster e il fatto che la funzione delle cartelle condivise fu a suo tempo giudicata una motivazione sufficiente per sentenziare l’illegalità del sistema.
Howell non aveva l’autorizzazione di distribuire quei brani , e la condivisione gli costerà una multa di oltre 40mila dollari spese legali incluse, a meno di eventuali ricorsi in appello. Le major hanno anche cercato di far entrare in gioco la legge dell’Arizona sulla cosiddetta “corresponsabilità coniugale”, secondo cui la moglie dell’accusato è altrettanto colpevole del reato di condivisione illecita per non aver fermato il consorte, ma almeno in questo caso la Corte si è orientata altrimenti.
Il bilancio per il file sharing e i nuovi canali di distribuzione dei contenuti in rete continua dunque a registrare luci ed ombre. Se i clamorosi ritorni di AllofMP3.com e SuprNova.org possono essere letti come fatti più che positivi per il settore, le cose peggiorano ulteriormente per TorrentSpy : il portale della rete BitTorrent, spinto a decidere il blocco dell’accesso ai cittadini statunitensi , è stato il giorno successivo obbligato dalla corte a consegnare tutte le informazioni disponibili in archivio sulle attività di sharing condotte dagli utenti USA.
Vengono dunque confermate le peggiori ipotesi sulla decisione preventiva di TorrentSpy, che aveva parlato di clima legale incerto e dell’impossibilità di garantire la privacy dei torrentisti americani a seguito del crackdown giudiziario nei confronti del portale. Nonostante la deposizione di Electronic Frontier Foundation come amicus curiae nella causa, volta a dimostrare l’assurdità della richiesta di registrare i log contenuti temporaneamente in RAM solo per il tempo necessario alle operazioni di ricerca e hosting, la corte federale presieduta da Florence-Marie Cooper ha stabilito che temporanei o meno quei dati vanno ritenuti e consegnati ai giudici .
I portavoce di TorrentSpy fanno sapere che avendo cessato le attività in territorio americano non avranno nulla da mostrare ai giudici , e che ricorreranno comunque in appello contro la decisione. Il portale nega inoltre di aver chiuso le attività negli States in conseguenza delle vicissitudini legali, ma molti pensano altrimenti visto il tempismo della decisione e la richiesta dei log da parte della corte.
Alfonso Maruccia