Roma – Il grande scontro sul file sharing dopo anni di guerra senza quartiere non accenna a diminuire di intensità. Electronic Frontier Foundation (EFF) ha annunciato che sta per raggiungere quota 100mila firme una importante petizione che chiede al Congresso di fermare le denunce a raffica presentate contro gli utenti dalle major musicali della RIAA .
Non appena raggiungerà le 100mila firme, la Petizione sarà consegnata alle Commissioni Giustizia e Mercato della Camera dei Rappresentanti e del Senato americani: è qui che si gioca molto del futuro rapporto tra industria dei contenuti e mondo digitale, è da qui che sono partite quelle leggi, come il Digital Millennium Copyright Act (DMCA) che da anni condizionano lo sviluppo delle tecnologie in tutto il Mondo . Ed è qui che proprio in questi giorni si lavora per inasprire quelle normative e allontanare ancora di più la prospettiva di un diritto d’autore in linea con le novità sociali, oltreché economiche, emerse con la diffusione di Internet.
Le accuse di EFF alle major della musica sono circostanziate: non hanno trasformato i propri modelli di business con l’avvento dell’era digitale facendo ricadere l’onere dei propri ritardi e del mantenimento dei propri profitti stellari sugli utenti; hanno spacciato per amnistia gli accordi extragiudiziali con cui hanno costretto numerosi utenti dei sistemi peer-to-peer a pagare ingenti somme per evitare costosi e inaffrontabili processi ; incuranti delle conseguenze sui media digitali non hanno preso atto della continua crescita del P2P ed ora sognano un ambiente elettronico ancora più blindato .
Le proposte della celebre associazione sono altrettanto chiare: costruire un nuovo diritto d’autore basato su una amnistia vera che dia possibilità ai cittadini dell’era digitale di accedere a proprio piacimento alle opere dell’ingegno in cambio di quello che EFF chiama voluntary collective licensing : un meccanismo di pagamento flat da parte degli utenti di questi sistemi che li metterebbe al riparo dalle conseguenze legali dello scambio non autorizzato di file protetti dal diritto d’autore. Un piano definito nei dettagli e disponibile anche in italiano .
E proprio in queste ore, con la consueta vivacità, RIAA “risponde” per le rime alla mossa di EFF inviando una nuova lettera di avvertimento alle università americane, l’ambiente dove i sistemi di sharing sono nati e hanno prosperato e che da anni sono al centro delle attenzioni degli avvocati delle multinazionali del disco. Nelle lettere RIAA parla di filtri obbligatori per gli atenei, unica “via di scampo” a nuove azioni legali su vasta scala. Le major parlano con cognizione di fatto: da anni monitorano il traffico sulle principali piattaforme di scambio e conoscono bene quanta parte di questo sharing derivi proprio dalle attività degli studenti universitari.
Ed è curioso, in tutto questo, che uno dei principali componenti di RIAA, Sony Music, società del gruppo Sony BMG, sia stata denunciata da alcuni degli artisti che ha prodotto. Gruppi come “The Allman Brothers Band” e “Cheap Trick” accusano pubblicamente l’azienda di essersi intascata denari che spettavano loro, derivanti dalle vendite legali dei loro brani effettuate dai jukebox che diffondono il catalogo della corporation. Curioso, perché proprio i “jukebox legali” sono da sempre reclamizzati dalle grandi società della musica come il motivo per cui chi utilizza il P2P a fini illegali non ha una vera ragione per farlo se non per coltivare, appunto, l’illegalità.
Una denuncia è stata presentata a New York e sostiene che Sony non ha rispettato il contratto , che impone all’azienda di consegnare agli artisti metà dei profitti ottenuti dalle vendite. A detta dei denuncianti, Sony tratta le vendite digitali come vendite tradizionali di album musicali, quando invece si tratta di musica offerta in licenza, ovvero sottoposta ad un altro regime contrattuale. L’accusa è pesante: dei 30 centesimi di dollaro per ogni brano che gli artisti si aspettano, ne ricevono – dicono – solo 4,5.
Non sarà certo questa denuncia a impensierire le multinazionali del disco. Ma quello che appare ovvio, anche dopo la presa di posizione degli artisti canadesi , è che tra le grandi major e chi la musica la crea, il divario si allarga. L’impressione, come scrivono ormai in molti, è che l’industria di settore sia ormai scollegata dalla realtà sociale. Rimane da vedere, però, quando i Legislatori nei diversi paesi che hanno già implementato severe misure repressive se ne renderanno conto.