P2P, in arresto i grandi condivisori

P2P, in arresto i grandi condivisori

Mentre la RIAA negli USA denuncia altre 700 persone e l'industria britannica prepara la prima ondata di denunce, in Islanda 12 persone vengono arrestate per troppo sharing
Mentre la RIAA negli USA denuncia altre 700 persone e l'industria britannica prepara la prima ondata di denunce, in Islanda 12 persone vengono arrestate per troppo sharing


Londra – La notizia ha fatto il giro dell’Islanda nel corso del week-end: per la prima volta le autorità di polizia locali hanno dato vita ad un blitz contro utenti dei sistemi di condivisione peer-to-peer.

Nello specifico, stando a fonti locali, la denuncia di alcune case di produzione discografica avrebbe portato i cybercop islandesi a seguire le tracce di alcuni utenti di un celebre sistema di sharing, DC++ , sistema spesso utilizzato per scambiare grandi quantità di materiali.

L’inchiesta avrebbe consentito agli inquirenti di individuare 12 persone dedite allo sharing di opere protette, ivi compresi musica, software e film . In uno dei casi venuti alla luce, i sistemi informatici in un appartamento pare contenessero 2.500 gigabyte di dati di origine illegale.

Per il P2P questi sono giorni bollenti: nelle scorse ore RIAA , l’associazione che riunisce i produttori discografici americani, ha annunciato di aver sporto denuncia contro altre 762 persone . Ciò significa che da quando la crociata contro gli utenti finali ha avuto inizio sono quasi 6.000 gli americani che si sono visti recapitare una denuncia RIAA.

E in Gran Bretagna, dove fino ad oggi le attività anti-P2P hanno risparmiato gli utenti finali, circolano rumors secondo cui l’industria musicale si sta preparando ad una prima raffica di denunce contro gli utenti dei sistemi di peering, sebbene l’idea è che potranno venire colpiti solo coloro che pongono in condivisione grandi quantità di materiali protetti.

Va detto, ad ogni modo, che né in Islanda né negli States e tantomeno in Gran Bretagna sono in vigore normative come la legge Urbani che in Italia può portare dietro le sbarre per quattro anni chi utilizza sistemi di condivisione. Per chi cede a titolo gratuito “materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto” è prevista invece la carcerazione fino a tre anni .

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Pubblicato il
4 ott 2004
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