Nel mirino delle major discografiche da anni, soggetta a procedimenti giudiziari in diversi paesi e non più leader del peer-to-peer, Sharman Networks, produttrice del celeberrimo software P2P Kazaa , ha ceduto: nelle scorse ore è stato reso noto un accordo globale con l’industria musicale che pone fine al contenzioso legale.
La home page del software, mentre scriviamo, è immutata ma è destinata a cambiare presto: l’intesa firmata da Sharman con RIAA e IFPI prevede infatti che Kazaa diventi un servizio legale grazie a filtri di protezione del diritto d’autore che ne muteranno sostanzialmente la natura.
A Kazaa l’industria da anni attribuisce enormi danni alla discografia mondiale : il software, che nel 2003 è divenuto il programma più scaricato da Internet con oltre 200 milioni di download, al suo apice ha avuto fino a 4,2 milioni di utenti simultanei, molti dei quali impegnati nella condivisione di opere protette senza autorizzazione. Una pratica che secondo RIAA ed IFPI ha sottratto moltissime entrate alla distribuzione legale tradizionale.
Che le cose andassero male per Sharman si era capito sia dalla sentenza del 2005 con cui un tribunale australiano ha sancito la responsabilità dell’azienda per i comportamenti illeciti dei propri utenti sia dalla decisione con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti nel giugno dello scorso anno ha dichiarato che i produttori di software peer-to-peer sono da considerarsi complici del download e della condivisione illegale di materiali tutelati dal diritto d’autore.
Dopo quattro anni di una battaglia legale senza precedenti Sharman ha accettato di risarcire le major sebbene non sia stato divulgato ufficialmente l’importo con cui si chiuderanno tutte le vertenze in corso. IFPI e RIAA parlano di “somma sostanziale”, altri di 115 milioni di dollari.
“Kazaa – dichiara John Kennedy, chairman e CEO di IFPI – era un servizio di file sharing che, violando i diritti degli autori e dei produttori discografici, ha causato gravi danni all’industria musicale. Le cause intentate contro Kazaa in varie giurisdizioni del mondo hanno dato risultati positivi, costringendo il servizio ad intraprendere una transizione verso un modello di distribuzione online legale. È il risultato migliore immaginabile per l’industria musicale. Kazaa, oltre a dover pagare danni considerevoli, diventerà un importante partner dell’industria discografica nell’affermazione di modelli legali di distribuzione digitale”.
Partner delle major? Quello che Sharman ha cercato di diventare per anni, sostenendo che i discografici dovessero cambiare modello di business e fare i conti con il peer-to-peer, ora si traduce in realtà, ma le condizioni le dettano i discografici.
“I vincitori – sostiene Mitch Bainwol, chairman e CEO di RIAA – sono i consumatori, gli artisti, le case discografiche e tutti coloro che fanno musica nonché i nostri partner nella comunità tecnologica”.
Di interesse il fatto che la clamorosa intesa Kazaa-major arrivi proprio nel giorno in cui IFPI presenta un nuovo rapporto sui danni causati dalla violazione del diritto d’autore nell’era digitale, un rapporto che per la prima volta classifica l’Italia tra i grandi paesi della pirateria internazionale . Di seguito i dettagli. Brasile, Canada, Cina, Grecia, Indonesia, Spagna, Corea, Messico, Russia e Italia. Sono questi i paesi di punta per quella che l’industria definisce emergenza pirateria digitale , una top ten nella quale per la prima volta entra anche il Belpaese e che è raccontata nel rapporto IFPI Protecting Creativity in Music .
Uno studio secondo cui nel 2005 sono stati scaricati illegalmente 20 miliardi di brani musicali , un elemento che viene visto non solo come danno per l’industria ma anche come proiezione delle potenzialità di un mercato legale. Le major sembrano convinte che la gratuità e disponibilità di pezzi del P2P sia in qualche modo equiparabile ai servizi di distribuzione legale online, incentrati su prezzi spesso non bassissimi e tecnologie DRM che non agevolano la libera fruizione di quanto acquistato.
Non è peraltro un teorema peregrino: nel 2005 IFPI valuta che le entrate dal mercato digitale legale siano triplicate rispetto all’anno precedente raggiungendo quota 1,1 miliardi di dollari. Dati che indicano per il 2006 una ulteriore sostenuta crescita.
Il rapporto, disponibile qui in PDF, cita studi secondo cui negli Stati Uniti un quarto del declino nelle vendite di CD sarebbe ascrivibile al peer-to-peer, una tesi da sempre sostenuta dalle major sebbene rimanga controversa per la presenza di rilevazioni che parlano di dati del tutto diversi .
Altri studi citati dal rapporto IFPI indicano che la crociata legale contro gli utenti peer-to-peer sta avendo un forte impatto sull’uso dei sistemi di sharing : viene citato lo studio Jupiter dello scorso novembre dal quale emergerebbe che gli europei ora usano di meno il P2P.
Più volte nel rapporto viene citato il caso AllofMp3.com , sito russo che vende musica a prezzi stracciati e che l’industria occidentale ha cercato in ogni modo di far chiudere, fin qui senza molto successo . “Gli appassionati di musica – scrivono gli estensori del rapporto – dovrebbero scegliere tra i molti servizi legali disponibili che compensano gli artisti anziché rivolgersi ad un servizio illegale che sfrutta la creatività degli altri per propri fini”. Una speranza che deve però fare i conti con la fruibilità dei contenuti di AllofMp3.com e altri siti simili , la cui musica viene offerta senza alcuna tecnologia anticopia oltreché a prezzi assolutamente concorrenziali con quelli dei jukebox online occidentali.
Le 20 pagine del rapporto nel complesso affrontano tutte le forme della pirateria, da quella tradizionale su CD masterizzati fino al “nuovo fronte” delle LAN universitarie , un’occasione certo utile per capire fino in fondo come l’industria discografica si prepara ad affrontare la “seconda fase” del “mercato Internet”.