Se in Italia il gran lavoro di raccolta degli indirizzi IP da parte di Logistep può destare allarme e preoccupazione, nel resto dell’Europa e negli States la situazione per il file sharing peggiora ad un ritmo persino superiore: in Francia parte il primo procedimento voluto dai produttori contro gli sviluppatori di software di scambio file , mentre negli USA AT&T è il primo provider ad allearsi con RIAA, MPAA e affini nella ricerca e nel filtraggio dei contenuti illegali distribuiti in rete.
Il primo vero test legale della discussa legge francese sul diritto d’autore DADVSI è “merito” dell’associazione dei produttori SPPF , Société des Producteurs de Phonogrammes , che ha denunciato gli autori dei software P2P Azureus, Shareaza e Morpheus come responsabili della distribuzione e condivisione illegale di contenuti per mezzo dei suddetti programmi.
La normativa DADVSI recentemente approvata prevede infatti che chi sviluppa software palesemente pensato per uso illecito sia passibile di 3 anni di galera e 300mila euro di multa. Non bastasse, SPPF vuole fare cassa e chiede 20,3 milioni di euro come risarcimento danni .
L’iniziativa francese va dunque molto oltre la celebre sentenza Grokster vs. MGM , che due anni fa ha ridisegnato gli scenari legali per i programmi di condivisione negli Stati Uniti. In quel caso gli sviluppatori sono stati puniti perché promuovevano in maniera palese l’utilizzo illegale dei propri software: le nuove norme d’Oltralpe consentono di perseguire anche quei casi in cui non è praticamente possibile per gli sviluppatori fare una distinzione netta tra download lecito e illecito .
Ironia della sorte, come suggerisce Zeropaid l’iniziativa di SPPF si abbatte proprio su quei soggetti, Azureus e BitTorrent, che si sono dimostrati più malleabili nei confronti dell’industria assecondandone i desideri di favorire gli scambi legali e protetti dei contenuti in rete. Procedendo su questa strada, l’unico risultato effettivo che i produttori otterranno sarà quello di spingere sempre più verso l’underground telematico i client di P2P, stroncando sul nascere questi primi timidi tentativi di conversione alla distribuzione autorizzata .
Di vero e proprio controllo globale del traffico di rete si parla invece negli Stati Uniti, dove il colosso AT&T ha annunciato lo sviluppo e l’impiego di una tecnologia teoricamente in grado di mettere al bando dal proprio network film, musica e software piratati qualunque sia la rete o il protocollo attraverso cui essi vengano distribuiti. La mossa di AT&T non arriva a sorpresa ma è parte della nuova strategia seguita dalla società, che con il servizio U-verse si propone anche come broadcaster di contenuti piuttosto che come semplice gestore della connettività e dell’infrastruttura di rete. Con l’intenzione di lanciare un chiaro messaggio del tipo “fidatevi di noi” all’industria multimediale, la telco sta pensando a sistemi di traffic shaping automatici , capaci di riconoscere e bloccare quei pacchetti di dati riconducibili a contenuti illegali. Un’opera che presenta non poche difficoltà tecniche e concettuali, suggerisce ars technica , prima fra tutte la sostanziale impossibilità per le routine di intelligenza artificiale di stabilire cosa è “pirateria” e cosa non lo è, senza intervento umano.
Un problema che nemmeno YouTube è finora riuscito a risolvere in maniera efficace – sebbene ci stia provando con un software di contrassegno digitale dei contenuti sviluppato in proprio – e che presenta ulteriori difficoltà se si passa a voler filtrare quanto viene scambiato su rete BitTorrent, con file generalmente di grosse dimensioni divisi in piccoli pezzi per ottimizzarne la distribuzione e il download.
Problemi tecnici a parte, l’intervento diretto di AT&T è comunque un evento di notevole importanza: oltre a gestire un network enorme come provider, la società possiede anche una fetta sostanziale dei backbone della infrastruttura Internet degli Stati Uniti . Ciò significa che praticamente ogni singolo bit di informazioni scambiate dagli americani, all’interno e all’esterno della rete nazionale, passa per i cavi gestiti da AT&T.
Se, come era prevedibile, l’industria si è detta entusiasta per la decisione AT&T, le opinioni critiche non mancano di certo: EFF parla del rischio, per la telco, di “combattere l’ultima guerra spendendo denaro ed energie nel chiudere vecchi buchi nel muro mentre se ne aprono di nuovi”.
Ancora più dura è Gigi B. Sohn, presidente del gruppo pro-diritti digitali di Washington DC Public Knowledge : “AT&T sta per comportarsi come la polizia del copyright, e la cosa non farà altro che far infuriare i consumatori”. Il gigante delle telecomunicazioni statunitense ha però il vantaggio, sostiene sardonica Sohn, di dover affrontare “una competizione talmente ridotta che in certi paesi non vi sono altri provider a cui gli utenti possano rivolgersi” per avere accesso alla rete.
Alfonso Maruccia