Non basta conoscere l’indirizzo IP assegnato dal provider ad un utente nel momento in cui viene condivisa illegalmente un’opera coperta da diritto d’autore per individuare un colpevole: l’indirizzo IP non rappresenta che una macchina, una macchina che potrebbe essere utilizzata da soggetti diversi, solo uno dei quali ha violato la legge.
È questo il parere del giudice statunitense Robert Lasnik, che ha esaminato un caso di violazione del diritto d’autore sollevato nello stato di Washington da Elf-Man LLC, che ha lavorato al film natalizio Elf-Man, condiviso illecitamente a mezzo BitTorrent. La casa di produzione, decisa a non tollerare gli scambi del frutto del suo lavoro, aveva chiesto alla giustizia di poter identificare gli assegnatari di 152 indirizzi IP, colti nell’atto di condividere in rete Elf-Man. Dei 152 abbonati identificati con il supporto dei provider, 3 hanno scelto di andare a fondo del caso, combattendo in tribunale contro la casa di produzione.
Hanno ora ottenuto la chiusura del processo: Elf-Man LLC, a meno che non depositi degli emendamenti alla propria accusa, non potrà ottenere un verdetto di colpevolezza. La motivazione? L’accusa non sa provare che il nome che corrisponde all’intestatario dell’indirizzo IP che ha violato la legge sia responsabile di violazione diretta del diritto d’autore, scaricando e condividendo l’opera in prima persona, piuttosto che di violazione indiretta , commessa “acquistando una connessione a Internet che un soggetto terzo non identificato ha utilizzato per scaricare Elf-Man”.
Il giudice osserva infatti che “così come è possibile che l’intestatario dell’abbonamento abbia preso parte alla rete BitTorrent, è altrettanto possibile che a violare la legge sia stato un membro della famiglia, un ospite, o un terzo che abbia abusato della connessione”. Gli stessi documenti presentati dai rappresentanti dell’accusa, sottolinea il giudice nella decisione, sembrano mostrare che nemmeno la casa di produzione abbia la minima idea di chi abbia scaricato Elf-Man, celato sotto i singoli indirizzi IP. Non si sono svolte indagini per analizzare la configurazione del network domestico della difesa, non si ipotizza in alcun modo come l’abbonato, in caso di responsabilità indiretta, abbia “intenzionalmente incoraggiato o promosso la violazione”, o anche solo che fosse a conoscenza della possibilità che una condivisione illegale fosse perpetrata attraverso la propria connessione, presupposto, secondo il giudice Lasnik, di una eventuale corresponsabilità nella violazione.
I documenti relativi al caso mostrano con chiarezza come Elf-Man LLC abbia tentato di fare leva sull’incertezza della giurisprudenza per certe fattispecie in materia di violazione indiretta del diritto d’autore, giocando la carta della vaghezza nella speranza che fosse la condanna del tribunale a decidere se gli abbonati corrispondenti agli indirizzi IP fossero pienamente responsabili o fossero colpevoli di non aver adeguatamente vigilato sulla propria connessione. Il giudice di Washington, in ogni caso, ha mostrato di aderire ad una tendenza che si sta progressivamente affermando nella giurisprudenza statunitense: l’indirizzo IP non identifica un colpevole , anche nel caso in cui non abbia adottato le misure necessarie a impedire che terzi abusino della connessione. Per configurare la responsabilità della violazione del diritto d’autore, anche quella indiretta, non basta un indirizzo IP: è necessaria un’intenzione.
Gaia Bottà