È stata l’assenza del Garante per la Privacy a spingere il Tribunale di Roma a dare il via libera all’ operazione Peppermint che coinvolge quasi 4mila utenti internet italiani?
Se lo chiede il senatore Fiorello Cortiana, membro del Comitato Consultivo sulla Governance di Internet del Ministero dell’Innovazione , in una lettera al Garante stesso, in cui spiega come nell’accettazione del ricorso da parte del Tribunale, “il Magistrato rende noto (…) che il Garante della Privacy non si è costituito pur essendo stato oggetto di notifica del ricorso introduttivo (…)”. “Probabilmente – sottolinea Cortiana – il fatto è dovuto a disguidi organizzativi, ma la mancanza di espressone del Garante potrebbe aver contribuito a modificare il giudizio del Tribunale di Roma”.
L’ atteso intervento del Garante , invocato in queste ore da tanti su forum e newsgroup, secondo Cortiana è tanto più urgente affinché “si interrompa l’azione messa in atto nei confronti di migliaia di utenti italiani. Altrimenti si potrebbe creare un precedente giurisprudenziale per il quale detentori di materiale tutelato dal diritto d’autore e/o da copyright potrebbero essere interessati alla messa in distribuzione, via Internet, di questo materiale per poi mettere in atto, nei confronti degli utenti che lo scaricassero, la richiesta di danaro per non adire a vie legali, penali, come sta accadendo ora”.
Il riferimento è naturalmente alle raccomandate inviate agli utenti dallo studio legale della casa discografica, che chiede alcune centinaia di euro per non procedere a denunce formali, in un caso che tiene banco in forum e newsgroup .
E mentre gli utenti si chiedono se rispondere alla raccomandata, pagare, o lasciar perdere tutto per i molti dubbi di legittimità dell’azione, sollevati dallo stesso Cortiana ma anche da esperti che in queste ore si stanno esprimendo sulla questione , proprio oggi l’associazione dei consumatori Adiconsum , che ha già annunciato l’intenzione di muoversi su questo fronte, dovrebbe far partire la propria azione basata sulla considerazione secondo cui “la richiesta di pagamento della Peppermint non sia giustificata, in quanto illegittima e contraria alle norme vigenti in materia”.
Come si ricorderà, Cortiana già a fine marzo aveva interpellato il Garante privacy sulla questione Peppermint, segnalando i numerosi nodi critici dell’azione che ha condotto nei giorni scorsi all’invio delle raccomandate. Oggi Cortiana chiede al Garante “di verificare se l’azione di rilevazione e trattamento dei dati personali di utenti italiani messa in atto dalla società svizzera Logistep (che agisce in questo caso per conto di Peppermint, ndr.) può aver violato la legge italiana configurandosi come illecito civile e persino come trattamento illecito di dati personali ai sensi dell’art. 167 del Testo Unico (sulla privacy, ndr.)”.
Cortiana sottolinea come il Garante abbia sempre difeso il diritto di ogni cittadino di opporsi al trattamento di dati personali e a qualsiasi forma di comunicazione cui non abbia dato consenso preventivo. “È indubbio – scrive l’esponente dei Verdi al Garante – che la richiesta ha un contenuto esclusivamente economico poiché il trattamento appare finalizzato al “recupero” di una somma di danaro dagli utenti accusati senza contraddittorio e senza prove ma sulla base di rilievi effettuati in forma automatica e con un programma informatico di vera e propria intercettazione utilizzato in Svizzera (sede di Logistep, ndr.) da un privato e senza alcun ordine espresso della magistratura competente e ciò non sembra giustificato neppure dalla esigenza diretta di tutela di un diritto in ambito civile perché non risulta avviato dal titolare del diritto controverso unico soggetto legittimato al trattamento in base alla legge vigente”.
Cortiana poi sottolinea come nel procedimento civile che ha portato all’ordinanza del Tribunale di Roma, quella che ha imposto ai provider di trasmettere i nomi dei propri abbonati, questi ultimi non siano stati chiamati in causa, non avendo così la possibilità di difendere la propria privacy . Non solo: l’acquisizione degli indirizzi IP degli utenti “sarebbe avvenuta in Svizzera ed il cittadino interessato non avrebbe alcuna garanzia che invece gli è pienamente riconosciuta dalla legislazione italiana e dalla Direttiva europea sulla privacy”.
“È un fatto senza precedenti e di estrema gravità – sottolinea Cortiana – una prima ed autentica schedatura di massa.”