Londra – Lo avevano annunciato lo scorso marzo e ora i rappresentanti dell’industria discografica incassano, è proprio il caso di dirlo, quelli che considerano i primi successi contro l’uso illegale del file sharing, ovvero la condivisione e il download di file musicali protetti.
Ad annunciarlo è ancora una volta l’industria fonografica britannica raccolta nella BPI : sono 23 gli accordi extragiudiziali raggiunti con altrettanti utenti, o le loro famiglie, individuati dall’industria grazie al tracciamento degli IP sulle principali reti peer-to-peer.
Ciascuno di questi utenti ha accettato di pagare somme tra le 2mila e le 4mila sterline a seconda del numero dei brani scambiati e della tipologia di attività (download e/o condivisione) impegnandosi al contempo di non utilizzare più i sistemi di file sharing per lo scambio di materiali tutelati dal diritto d’autore.
Per la BPI la situazione si era “sbloccata” lo scorso ottobre quando un tribunale aveva stabilito l’obbligo per i provider di fornire le identità degli utenti accusati di queste attività illecite.
Ma non è finita qui. BPI sembra infatti decisa a proseguire nella sua azione che ritiene essere decisiva per sensibilizzare gli utenti Internet a quello che ritiene essere un grave problema per l’industria.
“Non abbiamo alcun desiderio di trascinare la gente in tribunale – ha dichiarato il consigliere generale di BPI Geoff Taylor – E così abbiamo cercato accordi giusti laddove è stato possibile. Speriamo che la gente inizi a comprendere che il miglior modo per evitare rischi legali e pagare pesanti compensazioni è cessare il file sharing illegale e invece acquistare musica online, in sicurezza e nel rispetto della legge”.
La strategia è insomma quella già delineata e perseguita con grande energia negli Stati Uniti dai “colleghi” della RIAA , una strategia che ha fin qui portato alla denuncia di circa 10mila persone, nessuna delle quali ancora processata per le proprie attività.
Accanto a questo, come sempre, si gioca la battaglia delle cifre. L’industria, come la BPI in questa occasione, ha dichiarato che le attività di sharing sono diminuite sensibilmente negli ultimi due anni, tra il 45 e il 61 per cento. Dati che però non sono supportati dall’indicazione di chi e come avrebbe effettuato tali rilevazioni, che potrebbero anche essere giustificate dal continuo migrare degli utenti peer-to-peer da una piattaforma all’altra. Non solo, come è ben noto, alcuni autorevoli studi sostengono che il P2P non ha mai smesso di crescere fin dall’inizio della campagna RIAA.