Stoccolma – La Svezia sta rapidamente facendosi largo in prima linea nella guerra del file sharing: nei giorni scorsi è infatti iniziato il primo processo in cui è imputato un utente dei sistemi di condivisione , “incastrato” dall’aver posto in rete a disposizione di tutti alcuni materiali protetti.
L’uomo, un 27enne di cui non è stata resa pubblica l’identità, è formalmente accusato di aver posto in condivisione un film svedese dal computer di casa propria, in una cittadina non lontano da Stoccolma. Un’operazione che sarebbe stata “intercettata” dai software antipirateria utilizzati dagli organismi locali che si occupano di tutelare la proprietà intellettuale delle case del cinema e della musica.
Da lì, dunque, la segnalazione alla polizia scattata sia per l’imputato che per una decina di altri utenti svedesi che con ogni probabilità si ritroveranno presto a subire lo stesso iter giudiziario. La società antipirateria Antipiratbyran , che da mesi sta cercando di guidare una crociata contro il P2P, ha segnalato ai procuratori numerose altre persone, tutte considerate grandi condivisori , ossia utenti che mettevano a disposizione online notevoli quantità di materiali protetti.
Quello di Antipiratbyran dev’essere davvero un gruppo, formato da rappresentanti dell’industria, poco amato in rete: il suo sito, mentre scriviamo, infatti è colpito da defacement . Qualcuno che non gradisce le politiche contro il P2P ha pensato fosse il caso di farlo sapere all’associazione accedendo ai suoi server e modificando la home page.
Ad ogni modo, la notizia di questo processo fa rumore non solo perché è la prima del genere in Svezia, ma anche perché proprio in questi mesi la normativa di riferimento sta cambiando: se fino ad oggi è stato possibile scaricare materiali legalmente dal P2P, ciò non sarà più possibile dal primo luglio. Condividere, invece, è e rimane un illecito.
“Lavoriamo su molti casi – ha spiegato il pubblico ministero – ma questo è stato il primo ad essere approfondito”. Un portavoce di Antipiratbyran ha fatto sapere di aver segnalato in tutto un centinaio di casi alla polizia ed ha espresso soddisfazione che ora “quelle accuse si traducano in un procedimento. Questa attività deve in qualche modo essere fermata”.