Che il pubblico dibattito sul file sharing si sia trasformato in uno scontro cruento è cosa ormai nota. In un angolo del ring boccheggiano alcuni storici client P2P, suonati dalle major del disco e costretti alla mesta fine dei download . Nell’angolo opposto, i signori del copyright, ormai pronti a qualsiasi strategia pur di far fuori pirati e condivisori.
LimeWire è oggi uno di questi pugili suonati, costretto alla chiusura in seguito ad un’ingiunzione ordinata a New York sugli sganassoni legali della Recording Industry Association of America (RIAA). Un assunto molto basilare, quello adottato dalle sorelle del disco: chiudere la piattaforma di Mark Gorton porterà ad una drastica diminuzione dei download illeciti.
Un recente studio realizzato dalla società di ricerca NPD Group ha ora risuonato come dolce musica nelle orecchie delle major discografiche. Alla fine del 2007, il 16 per cento degli utenti di Internet sfruttava canali di file sharing e P2P per scaricare musica. Alla fine del 2010, questa percentuale è scesa al 9 per cento . Il 9 per cento dei netizen, globalmente, è dedito alla pirateria audiovisiva.
E con la morte di LimeWire sembra diminuito anche il numero di brani scaricati in Rete. Secondo i dati di NPD Group , si sarebbe passati da 35 brani a persona nel 2007 a 18 nel 2010 . Ovviamente è solo una media, dato che c’è chi scarica un solo brano e chi ne scarica grandi quantità. Ma il numero complessivo degli scariconi sarebbe diminuito di ben 12 milioni dal 2007 al 2010 .
Tutto questo per la chiusura di LimeWire? Alla fine dello scorso anno, il 56 per cento di chi scaricava musica lo faceva con il client di Mark Gorton. Ora la percentuale è scesa al 32 per cento, sempre secondo NPD Group . Certo, ne hanno beneficiato diretti competitor come FrostWire – dal 10 per cento dell’intera utenza al 21 per cento – ma anche servizi BitTorrent come u-Torrent.
In realtà è proprio questo ricambio che non permette ai signori del copyright di dormire sonni tranquilli, specialmente quando esistono servizi di file hosting e streaming che vanno ad aggiungersi al tradizionale download dei contenuti. C’è però un altro studio – realizzato da due ricercatori della London School of Economics – che ha sottolineato come l’industria debba proprio sfogarsi con qualcos’altro .
Lo studio è certo partito da un dato di fatto: i profitti totali generati dall’industria del disco sono scesi dai 26 miliardi del 2000 ai circa 15 del 2010 . Colpa del file sharing? Non solo. Lo studio ha sottolineato come negli Stati Uniti la spesa media per i dischi sia crollata del 40 per cento dal 1999 al 2004 , e “per colpa” di persone che non possiedono nemmeno un computer.
C’è la crisi e i prezzi dei CD non sono affatto abbordabili. E lo studio britannico non ha mancato di evidenziare un altro dato di fatto: nel 2009, per la prima volta in assoluto, il mercato dei concerti dal vivo ha superato quello dei dischi . 1,36 miliardi di sterline contro 1,54 miliardi. E, si sa, nessun tracker torrent potrà mai restituire l’adrenalina di un’esperienza da palcoscenico.
Mauro Vecchio