Un tempo si evocava scherzosamente la presenza di giapponesini tuttofare nascosti nei dispositivi elettronici più avanzati. Oggi si scopre che gli automatismi promessi dai nuovi servizi online di tagging fotografico sono il frutto del duro lavoro manuale di anonimi utenti online. Centinaia, forse migliaia di persone vengono pagate pochi centesimi di dollaro per “taggare” immagini digitali.
Il caso è esploso su TechCrunch quando è stato presentato TagCow , un nuovo servizio online che si propone di risolvere il problema del tagging delle proprie collezioni fotografiche. Gli utenti uplodano le foto e il “sistema” dopo pochi minuti le pubblica in un archivio online con tanto di TAG allegati. Un sogno per molti, e quasi realizzato da realtà come Riya , Ookles e Polar Rose . TagCow, però, sembra essere riuscito a spingersi oltre raggiungendo una qualità finale invidiabile, tanto da offrire anche la piena integrazione con Flickr.
In pochi giorni, e grazie alla segnalazione di un lettore di TechCrunch, si è scoperto che dietro a TagCow non si nascondeva alcuna mirabolante tecnologia bensì Amazon Mechanical Turk . La piattaforma del noto e-tailer nasce per soddisfare le esigenze delle imprese: lavoretti digitali che solo gli essere umani possono fare. Ecco quindi richieste di tagging, valutazioni di risultati, categorizzazioni, identificazione di blog etc. Sono tutti HIT (Human Intelligence Task) che vengono pagati a seconda dell’impegno e del tempo richiesto.
Ad esempio, TagCow paga 0,04 dollari ogni cinque foto taggate . In dettaglio, il lavoro dei giapponesini richiede la compilazione di un foglio elettronico dove bisogna indicare tutti i termini che possono essere utili per la descrizione delle immagini visualizzate.
TagCow, al momento, si mostra come un servizio completamente gratuito. Ma se si scorrono velocemente i Termini di Utilizzo si scopre che “si acconsente alla raccolta e utilizzo (come notificato nella Privacy Policy) delle informazioni” personali e di registrazione.
Dario d’Elia