Il debutto di Pandora Radio in borsa è andato bene, anzi benissimo: il servizio di streaming e raccomandazione musicale – attualmente accessibile solo negli States – ha messo in circolazione quasi 15 milioni di azioni al prezzo di 16 dollari cadauna, totalizzando una valutazione complessiva di oltre due miliardi e mezzo, ma aprendo le contrattazioni a 20 dollari e quindi ben sopra le stime (pur ottimistiche) iniziali. Raggranellando così milioni da investire per la crescita del business. Restano i dubbi delle cassandre finanziarie sulla profittabilità, ma al momento nessuno sembra interessato ad ascoltarle.
I risultati della offerta pubblica iniziale (IPO) di Pandora sono eccellenti, ben oltre le aspettative dichiarate quando sono state avviate le procedure per la quotazione in borsa lo scorso febbraio: l’accresciuto interesse degli investitori aveva portato la startup ad aumentare il valore delle azioni, fissando a 2,6 miliardi di dollari la quotazione complessiva la giornata precedente la quotazione.
E gli investitori hanno comprato, tanto, portando nelle casse di Pandora quasi 250 milioni di dollari – quasi due volte e mezzo i 100 milioni previsti come obiettivo per il debutto del titolo nel mondo dell’alta finanza. Gli investitori hanno apprezzato i buoni risultati della startup , inclusa la crescita dei ricavi e il numero di utenti che usano il servizio.
Ma se il debutto in borsa di Pandora ha fatto “boom”, c’è chi non manca di sottolineare la possibilità di un “burst” sul medio-lungo termine: ragionando in termini generali il business della webradio è ancora niente in confronto alle radio “fisiche” operanti sullo spettro elettromagnetico tradizionale, non c’è alcuna garanzia che la startup sia in grado di raggranellare utili sufficienti a giustificare gli investimenti e il “rumore” generato dalla IPO o che non si tratti dell’ennesimo caso di bolla speculativa 2.0 destinata inesorabilmente a scoppiare trascinando con se mercato, soldi e chissà cos’altro.
Alfonso Maruccia