I dibattiti di Off The Platform all’Internet Festival di Pisa sono stati una bella sorpresa, e in particolare Pasolini lives, lo short play curato da Antonio Pavolini, con musiche di Alessandro Sebastiani e letture di Nicola Fanucchi, merita qualche riflessione che sarà utile, qui su Punto Informatico, anche in futuro.
L’autore di ”
Oltre il Rumore” ha sempre avvertito circa la visione/avversione da parte dei media più vecchi e in particolare della televisione quando ci si riferisce a Internet: atteggiamento pregiudiziale – legato anche a dinamiche economiche vissute come concorrenziali – piuttosto evidente anche nel caso del rapporto Auditel – Censis. Potrebbe sembrare contraddittorio da parte dell’esperto che meglio di altri ha spiegato come non dobbiamo mai farci spiegare Internet dalla televisione, visto che il suo lavoro su Pasolini parte proprio dalle parole dell’intellettuale friulano sulla televisione per poi correre avanti e indietro con frammenti del nostro contemporaneo, ma questo è stato fatto per illuminare quella sottaciuta relazione che esiste fra l’industria dell’informazione e chi viene informato.
Insomma, sono cambiate moltissime cose, certo, ma noi? Gli esseri umani?
Esseri umani, televisione e rete
Pavolini ha pensato di teatralizzare la sua articolazione del pensiero di Hossein (“Internet è la nuova televisione”), e basandosi sulla voce di Pasolini ne è uscito inevitabilmente anche un messaggio antropologico: se anche non esistono più ostacoli fisici all’accesso ai contenuti, le piattaforme ci intermediano tre volte, perché canalizzano la pubblicità come modello di business, perché i loro algoritmi canalizzano i contenuti stessi in cui incappiamo, perché noi stessi tendiamo ad essere pigri e a privilegiare più la scoperta del contenuto che la sua ricerca. Come forma mentis televisiva predica. Una impressionante somiglianza con quel che Pasolini 45 anni fa sosteneva a proposito della televisione: “Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare“. Sostituite il riferimento ad essa pensando alla Rete…
E così, superando di slancio i cliché sul Pasolini profetico – che ha fatto un gran male alla sua corretta interpretazione – Pavolini ci consegna una intuizione: fatto salvo tutto ciò che sappiamo e distinguiamo (giustamente) di Internet rispetto a qualunque cosa accaduta prima, ciò che Pasolini diceva della televisione, cioè che annulla le diversità e favorisce l’omologazione, sembra valere anche per i nuovi media. D’altronde il problema dei bias di conferma e relative fake news sono lì a dimostrarlo.
“Siamo umanamente predisposti all’omologazione“, ci ha raccontato dopo lo spettacolo, “e i modelli commerciali cavalcano questo istinto. Sia i modelli vecchi, sia quelli nuovi, dove gli algoritmi si sostituiscono ai palinsesti“.
È cambiato molto meno di quello che si pensava sarebbe cambiato, con Internet? Sì, possiamo ammetterlo. D’altronde, potrebbe di converso anche essere già cambiato o destinato a cambiare molto di ciò che non abbiamo mai pensato potesse in relazione con Internet. La fluidità c’è, senza dubbio. Anche gli smottamenti. L’ingenuità dei manifesti anni 80, invece, non più. Testi come la dichiarazione di Barlow sono ormai consegnati alla letteratura. Non hanno mai avuto, neppure per un attimo, una potenza “politica”.
E ancora Pasolini ci viene in soccorso per farci capire cosa deve azionarsi perché la faccenda sia davvero seria:
Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni.