Un datore di lavoro o un allenatore sportivo che accede all’account di Facebook o di Twitter per leggere i commenti o vedere le foto dei dipendenti o degli atleti violerebbe le leggi contro la pirateria informatica. A meno che non siano gli stessi lavoratori/studenti a rivelare i propri dati personali. E sembra proprio questa la strada che stanno seguendo molti manager e molte scuole per tenere d’occhio impiegati e sportivi.
Nel Maryland , ad esempio, i responsabili delle risorse umane del Department of Corrections , l’ente che si occupa della sorveglianza dei detenuti, chiedono agli aspiranti dipendenti login e password di Facebook per controllare amici, bacheca e fotografie. In molti stati USA, anche gli studenti che praticano sport nei college sono stati costretti ad accettare l’amicizia del proprio allenatore , o rivelare i propri dati di accesso all’account del social network. Un caso emblematico è rappresentato dalla University of North Carolina che ha inserito nel proprio regolamento la norma in base alla quale un allenatore o un amministratore “deve avere accesso e monitorare regolarmente il contenuto e i post dei membri della squadra sui social network “; ma sopratutto specifica che “il dipartimento di atletica si riserva anche il diritto di avere altri membri dello staff che controllino i messaggi degli atleti”. I college si stanno rivolgendo ad aziende specializzate nel monitoraggio dei social media per richiedere programmi specifici che automatizzino il compito. Tali software offrono “la valutazione della reputazione” e sono in grado di lanciare allarmi se i profili degli altleti sono un po’ troppo sopra le righe.
Le pratiche usate dagli esperti delle risorse umane del Department of Corrections del Maryland erano venute già a galla lo scorso anno, quando Robert Collins, un giovane che era aveva sostenuto un colloquio al Dipartimento, denunciò all’ American Civil Liberties Union (ACLU) che, durante un colloquio, fu costretto a rivelare il proprio nome utente e la password di Facebook. Il Department of Corrections dovette sospendere per 45 giorni questa singolare pratica di selezione del personale. L’ente ha ora dichiarato che il controllo dei profili degli aspiranti lavoratori sui social network è necessario per evitare di assumere guardie con potenziali legami a una banda criminale. Inoltre ha sottolineato il carattere assolutamente volontario della rivelazione dei dati personali e ha fatto sapere che solo cinque degli 80 neoassunti ha negato l’accesso.
Per i college, al contrario, questa “abitudine” sembra obbligatoria: niente login? niente sport. Per l’avvocato Bradley Shear queste richieste di accesso violano il primo emendamento : “Stanno dicendo agli studenti che se si vuole giocare si deve avere l’allenatore tra gli amici. Questo è molto preoccupante – ha dichiarato Shear – Forse queste pratiche vanno bene se si vive in un regime totalitario, ma abbiamo ancora una costituzione che ci protegge”.
“Questa è una violazione della privacy” ha affermato Melissa Coretz Goemann, la direttrice del settore legislativo della ACLU del Maryland. Goemann ha inoltre sollevato un problema di non poco conto: “La corsa al monitoraggio delle persone viola i termini e le condizioni di servizio di Facebook”. Il portavoce del sito in blu, Frederic Wolens, conferma e avverte: solo il titolare dell’indirizzo di posta elettronica è considerato il proprietario dell’account Facebook e “vietiamo a chiunque di richiedere le informazioni di accesso che appartengano a qualcun altro”.
Rispetto allo “spionaggio” degli atleti delle università, il controllo dei lavoratori sembra essere meno diffuso: ma non è un fenomeno trascurabile. Basti ricordare il celebre caso in cui Apple ha licenziato un impiegato britannico che postava commenti negativi sui prodotti dell’azienda su Facebook. Ma non si tratta solo di social network: un dipendente del governo australiano ha perso il lavoro perché troppo interessato alle grazie femminili, e non è certo il primo caso di dipendenti che trovano la via della porta per aver usato il PC aziendale per scopi privati non in linea con le policy di decoro.
Gabriella Tesoro