Il business del patent trolling tira , ma soprattutto rappresenta una parte predominante delle cause brevettuali avviate nei tribunali statunitensi. A rivelarlo una ricerca di Colleen Chien, docente di legge presso l’università californiana di Santa Clara.
Al primo dicembre del 2012, dicono i numeri raccolti da Chien, il 61 per cento delle cause e dei processi intentati per motivi di presunta infrazione brevettuale sono stati originati dai cosiddetti “patent troll”, aziende che non producono assolutamente nulla ma si limitano a registrare brevetti su brevetti presso lo US Patent & Trademark Office (USPTO).
L’azione legale dei patent troll accelera a ritmi preoccupanti , rivela Chien, visto che le cause sono passate dal 45 per cento del 2011 all’attuale 61 per cento e solo cinque anni fa ammontavano ad appena il 23 per cento del totale.
Le vittime predilette dei patent troll sono – neanche a dirlo – le startup (35 per cento) che hanno raccolto fondi sufficienti da far gola all’eventuale bottino a mezzo avvocati, e altrettanto illuminante risulta il rapporto fra cause avviate e cause che arrivano alla fase processuale (fra 100:1 e 307:1): pagare per un accomodamento conviene, e questo i patent troll lo sanno fin troppo bene.
Per affrontare in maniera organica il problema delle società che si reggono solo sulla rivendicazione di brevetti interviene la Federal Trade Commission statunitense, che per la prima volta ha chiamato a raccolta le cosiddette “Patent Assertion Entities” (i troll dei brevetti di cui sopra) e i loro critici per discutere della questione. Proprio in occasione della convocazione FTC, il professor Chien ha potuto esporre i suoi dati sullo stato del “mercato” delle proprietà intellettuali made in USA .
Alfonso Maruccia