Che i cosiddetti patent troll fossero fastidiosi era già palese, che dessero fastidio era logico, che fossero costosi per il sistema e per le aziende sane, idem: ma quanto costassero agli altri operatori del settore rimaneva una supposizione vaga e generica. Fino allo studio condotto dall’Università di Boston.
Con il termine patent troll si connota negativamente una Non Practicing Entity (NPE), cioè una società che acquista licenze e brevetti ma non li utilizza per offrire servizi o per la produzione di beni e che inoltre si distingue sia dalle società che acquistano i brevetti (o licenze) attinenti ai propri prodotti, sia dalle università e dagli enti di ricerca che, pur partecipando raramente al processo produttivo, sono protagonisti della ricerca e/o dello sviluppo.
Secondo le stime dello studio condotto dall’Università di Boston le denunce di tali patent troll avrebbero coinvolto 2.150 diverse aziende in un totale di oltre 5800 conseguenti processi .
Procedimenti che sarebbero costati solo negli Stati e solo nel 2011 agli operatori e alle aziende legittime un totale di 29 miliardi di dollari: cifra che somma i costi legali di procedimenti e avvocati, ma che non tiene conto dei costi indiretti come potrebbero essere quelli connessi ai ritardi causati all’immissione sul mercato di un nuovo prodotto o alla necessità di dedicare al comparto legale risorse altrimenti utili per la ricerca.
Al fastidio e alla minaccia si è provato a rispondere con diverse soluzioni, da ultimo la proposta di licenza collettiva del progetto “Defensive Patent License”, ma sono in molti a ritenere che la strada da battere sarebbe la riforma dell’attuale sistema brevettuale .
Claudio Tamburrino