Con un colpo di teatro di sicuro effetto, la Repubblica Popolare Cinese risponde alle accuse di essere il centro mondiale del cracking degli apparati di stato stranieri con altrettante accuse nei confronti dei paesi occidentali. Gli Stati Uniti ed altri governi “ostili” usano Internet per infiltrazioni di tipo politico nei network del Partito , denuncia il vice ministro dell’industria dell’IT Lou Qinjian, e quello che la Cina deve ora fare è difendersi, aumentando il controllo sui suddetti network.
Secondo quanto denunciato dal vice ministro, “La Rete è diventata il principale canale tecnologico per attività di spionaggio esterno contro i nostri dipartimenti fondamentali”, riporta Reuters . Altro che attacco al Pentagono, Internet in Cina è un colabrodo: “In anni recenti il Partito, il governo, le forze armate, la difesa nazionale e i gruppi di ricerca scientifica hanno subito gravi casi di perdita, furto o diffusione non autorizzata di informazioni segrete, e il danno agli interessi nazionali è stato enorme e scioccante” lamenta accorato Lou Qinjian.
Il funzionario non indica alcun caso specifico ma dà per certo il coinvolgimento degli Stati Uniti : secondo Lou “nei prodotti tecnologici pensati per Internet esportati dagli USA sono state installate backdoor per permettere l’infiltrazione tecnologica e il furto di informazioni riservate”. Insomma si tratta di una vera e propria cospirazione ai danni della crescente capacità tecnica ed informatica della super-potenza asiatica.
Le società USA hanno già smentito le illazioni, ma Lou è andato ben oltre la semplice denuncia del complotto internazionale: è fondamentale correre ai ripari, sostiene, creando una nuova agenzia governativa con il compito di analizzare e valutare attentamente le possibili implicazioni delle strategie economiche delle società tecnologiche straniere . Nel lungo termine sono altresì auspicabili maggiori investimenti e la promozione delle soluzioni tecniche sviluppate localmente in puro spirito autarchico.
La già stringente censura delle comunicazioni telematiche , i poliziotti virtuali e l’ accondiscendenza dei big della Rete mondiale dunque non bastano al governo di Pechino, che evidentemente pensa di spingere sul tasto del patriottismo per far fronte alle critiche sempre più insistenti di organismi stranieri ed internazionali al suo modo di gestire il network globale e le libertà civili fondamentali. Un modo, anche, per allontanare da sé le accuse di voler sparare il primo colpo di una cyberwar globale.
Alfonso Maruccia