Pechino (Cina) – “Non ci sono conferme. La Cina ha spiegato comunque chiaramente di condannare questo genere di comportamenti”: così il portavoce del ministero degli esteri cinese Zhu Bengzao ha spiegato ai giornalisti la posizione delle autorità di Pechino sulle aggressioni cyber condotte nelle scorse settimane contro siti istituzionali giapponesi. Secondo gli investigatori nipponici, infatti, la quasi totalità di questi attacchi arriva dalla Cina, ma le autorità di Pechino ritengono che questo non possa essere accertato.
La questione è delicata, non tanto e non solo per le pagine istituzionali che i giapponesi hanno dovuto tirar giù, quanto invece perché tra slogan e insulti, le diverse incursioni chiedono a Tokyo di prendersi la responsabilità per il cosiddetto “massacro di Nanchino”, durante il quale nel 1937 furono uccisi dai militari nipponici 300mila cinesi (numero attorno al quale il dibattito è ancora aperto). E gli attacchi avrebbero avuto inizio quando alcuni gruppi dell’estrema destra giapponese hanno iniziato un’attività di propaganda revisionista, sostenendo che il massacro non c’è mai stato.
La questione è da sempre, nei rapporti tra i due paesi, un problema irrisolto, da qui la tensione di questi giorni tra Pechino e Tokyo. Va detto che le autorità giapponesi riconoscono che il massacro c’è stato ma non per questo intendono censurare i gruppi revisionisti i cui proclami fanno infuriare capaci “smanettoni” di origine cinese.