Pedoporno, a Cagliari ci ripensano

Pedoporno, a Cagliari ci ripensano

I computer andavano sequestrati. Questa la clamorosa decisione del Tribunale del riesame che boccia quanto deciso dalla seconda sezione del Tribunale, che aveva dichiarato illegittimo il sequestro
I computer andavano sequestrati. Questa la clamorosa decisione del Tribunale del riesame che boccia quanto deciso dalla seconda sezione del Tribunale, che aveva dichiarato illegittimo il sequestro


Cagliari – Il sequestro dei personal computer di 88 persone nell’ambito di una ormai celebre inchiesta condotta contro il mercato della pornografia minorile è lecito ed è giustificato dalle ragioni di indagine. A stabilirlo è stato il riesame della prima sezione del Tribunale di Cagliari che ha bocciato quanto deciso dalla seconda sezione stabilendo così che la Guardia di Finanza può continuare a esaminare i contenuti dei PC posti sotto sequestro.

Come si ricorderà, con una decisione che aveva sorpreso e a cui anche su queste pagine è stato dedicato ampio spazio , i giudici della seconda sezione avevano ritenuto che la semplice transazione, pur fatta su un sito “ambiguo”, cioè che ha rapporti con fornitori di materiali eterogenei, anche illegali, non è sufficiente per costituire il “fumus” di cui sopra, non costituisce, di per sé, elemento decisivo e tranquillizzante circa la commissione del reato contestato . Ed avevano reso nullo il sequestro dei PC.

Ora però la prima sezione ha invece stabilito che il fumus comissi delicti sussiste anche soltanto con il sospetto che la persona indagata abbia potuto collegarsi e acquistare materiale da siti pedopornografici.

In particolare, il Tribunale ha stabilito che il sistema transattivo via internet sotto esame, con cui veniva comprato non solo materiale illecito ma anche pornografia del tutto legale, appare sostanzialmente legato ad attività di pedopornografia quando la spesa con carta di credito è superiore ai 30 euro . Ed è per questo che due degli indagati, che su quel sistema avevano speso circa 15 euro, sono usciti dall’inchiesta, in quanto appunto non si ritiene che abbiano potuto acquistare pedoporno.

Gli altri indagati dovranno ora attendere che le Fiamme Gialle completino l’esame dei loro personal computer , esame in base al quale verrà stabilito chi di loro si è effettivamente servito di quel sistema di acquisto di immagini illecite.

Nello specifico, il Tribunale del riesame ha motivato la propria decisione sottolineando come gli inquirenti non abbiano preso di mira tutti coloro che hanno usato un certo sistema transattivo, il celebre Ibill.com , ma soltanto quelli che hanno utilizzato il codice Ibill utilizzato dai rivenditori di materiale pornografico, tanto lecito quanto illecito. E, tra questi, abbiano preso di mira soltanto coloro che hanno speso almeno una certa cifra, appunto 30 euro. Due filtri che, a parere dei giudici, hanno consentito di restringere di molto le ricerche e quindi concentrarsi su alcune decine di sospetti che potrebbero davvero essere coinvolti nel mercato della pornografia minorile.

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Pubblicato il
18 feb 2004
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