Era già successo in Pennsylvania, si ripete ora in Georgia: Edward Ray Barton, un uomo accusato di sfruttamento sessuale per avere avuto nella cache del browser 106 immagini a sfondo pedopornografico, è stato prima condannato alla galera e poi scagionato dalla Corte d’Appello, che ha stabilito l’inconsistenza delle prove di reato .
Le immagini incriminate erano state individuate soltanto dopo un’analisi forense del laptop di Barton da parte di consulenti dell’intelligence americana, che avevano appunto scovato tracce del materiale nello spazio del disco fisso riservato allo stoccaggio dei file temporanei di Internet Explorer, Mozilla Firefox e compagnia.
Nessun altra prova era stata raccolta a sostegno dell’accusa di possesso o diffusione di immagini illegali, né era stato rinvenuto alcun software specifico adatto alla lettura e all’interpretazione della cache che potesse permettere a Barton di visionarne il contenuto a piacimento. È la dimostrazione, ha deciso la corte di appello del giudice Yvette Miller, che non vi fosse alcun possesso consapevole dei file e quindi dell’assenza di prove del fatto che Barton li avesse salvati per un utilizzo successivo.
In buona sostanza, in assenza di copie su altri supporti , quelle immagini non costituiscono prova e quindi Barton non può essere accusato di alcun reato, pertanto va rilasciato.
Ad essere chiamata in causa è ancora una volta l’azione del legislatore, che a Washington secondo la Corte ha ora il compito di chiarire l’utilizzo dell’ambigua terminologia della legge , laddove indica, ma non spiega, la parola “possesso” nell’ambito di simili reati in relazione alle tecnologie informatiche. Fino a quanto questo chiarimento non sarà prodotto, dice ancora Miller, il giudice non può far altro che interpretare la legge alla lettera e in favore dell’accusato.
Il caso non costituisce un precedente valido per l’intera confederazione, essendo un problema interno del solo stato della Georgia. Pur tuttavia, dopo il già citato caso omologo della Pennsylvania, questo è il secondo campanello d’allarme sulla difficoltà di inseguire con leggi ad hoc l’evoluzione della società dell’informazione basata sui bit.
Una questione che tocca anche la legislazione italiana , che al pari di quella americana tende a sanzionare solo il possesso esplicito di materiale pedopornografico, sotto forma di immagini e contenuti salvati su disco fisso o altri tipi di supporti, atti alla visione e alla fruizione in un momento successivo al download.
Alfonso Maruccia