Le immagini di violenze perpetrate sui minori scompaiono e riaffiorano periodicamente in rete, ma le fonti che le distribuiscono sono meno di 3mila. Ed è proprio partendo da queste ultime che Internet Watch Foundation ( IWF ) propone di agire per sradicare il fenomeno dalla rete.
IWF, la fondazione sostenuta dai principali attori dell’industria online che opera in collaborazione con le forze dell’ordine e il governo del Regno Unito, nel proprio rapporto annuale ha tracciato un quadro degli abusi che trovano spazio in rete: i siti dai quali si diffonde il materiale pedopornografico sono in calo. Uno sforzo di coordinazione internazionale potrebbe espellere dalla rete questo fenomeno.
L’analisi della Fondazione prende in esame solo i siti che operano in lingua inglese: nel 2007 ne sarebbero stati individuati 2755, il 10 per cento in meno rispetto all’ anno precedente , e ospiterebbero sempre meno singole pagine web, in calo del 15 per cento. Una tendenza di senso opposto si sta invece verificando per le segnalazioni, in crescita del 10 per cento rispetto al 2006, dimostrazione di come i cittadini della rete siano sempre più sensibili alla questione.
I siti sono in calo ma il business della pedopornografia resta stabile: da anni circa l’ 80 per cento delle fonti da cui si irradiano online le immagini degli abusi è di natura commerciale . A differenza di quanto mostrano i dati di Telefono Arcobaleno, quelli di IWF indicano che il business in realtà non è cresciuto: il mercato si sarebbe potuto espandere di pari passo con il moltiplicarsi delle possibilità di accedere alla rete, ma così non è stato. La proporzione delle attività commerciali illecite stenta però a cambiare: questo tipo di siti, il cui accesso richiede pagamenti e complicate procedure, sfugge alle segnalazioni degli utenti, che si rivolgono alle hotline poiché si imbattono casualmente in immagini di abusi. Inoltre, la difficoltà nel rintracciare i siti del pedobusiness è ascrivibile alle precauzioni prese da chi li gestisce: sono spazi web effimeri, vengono trasferiti periodicamente su server diversi per sfuggire ai blocchi e per rendere gli attori del business meno rintracciabili.
Tuttavia, sebbene i numeri sottostimino il fenomeno, lo sharing di immagini è ancora un canale fondamentale per la diffusione di materiale pedopornografico: avviene perlopiù in reti di membri fidati, in forum che richiedono agli utenti una attiva collaborazione. Avviene sulle reti P2P : Meter, l’associazione di don Fortunato di Noto, ha appena segnalato alle forze dell’ordine l’esistenza di un network di scambio protetto da password che ha consentito di denunciare la presenza di una grande quantità di materiale illegale. Se è possibile avere un’idea del numero dei nodi mediante i quali si organizzano gli scambi, è estremamente complesso risalire alla quantità e all’origine di queste immagini.
La proposta di IWF per contrastare il fenomeno è quella di esportare all’estero il modello britannico: fondamentali sono le segnalazioni degli utenti, fondamentale anche la collaborazione con i provider, ai quali vengono fornite blacklist dinamiche, aggiornate due volte al giorno, in modo che possano decidere di bloccare l’accesso a questi contenuti. Una dimostrazione dell’efficacia di queste pratiche, spiega IWF, è il fatto che siano pochissimi i siti web che ospitano abusi su server che risiedono nel Regno Unito. Quelli rintracciati sono stati rimossi nel giro di poche ore.
Ma la cooperazione va estesa a livello globale: formando un fronte compatto con gli altri paesi, suggeriscono gli esperti, sarebbe possibile epurare la rete da questi contenuti, scoraggiando così il business che prolifera intorno ad essi. IWF non specifica se la propria ricetta per la collaborazione debba includere soluzioni tecnologiche come quella messa a punto da Google, tecniche spionistiche per individuare coloro che alimentano lo sharing o una più efficace opera di comunicazione e di coordinamento fra le istituzioni di diversi paesi. Ritiene però che sia il momento giusto per agire: “Crediamo che 2755 siti sia un numero gestibile – ha spiegato una portavoce della Fondazione – chiediamo una collaborazione a livello internazionale per combattere questo fenomeno”.
Gaia Bottà