Gli strumenti di ricerca basati sull’intelligenza artificiale si sono fatti notare parecchio negli ultimi anni. Uno su tutti, Perplexity. Sono diventati bravissimi in tanti tipi di ricerche e nel dare risposte semplici alle domande. Ma questo basterà basterà per fare fuori Google?
Non si tratta di sottovalutare le potenzialità dell’AI, anzi. Ma quando si parla di sostituire un colosso come Big G, che ha plasmato le nostre abitudini di ricerca per vent’anni, la questione si fa complicata. E pensare che “googlare” è diventato persino un verbo!
5 motivi per cui gli strumenti di ricerca AI non sostituiranno le ricerche su Google
Ci sono almeno 5 ostacoli che l’AI dovrà superare per vincere questa sfida.
1. Il tallone d’Achille dell’aggiornamento
Partiamo da un problema pratico: la freschezza dei risultati. Quante volte sarà capitato di cercare qualcosa con un tool AI e di ritrovarsi con fonti vecchie di anni. È frustrante, specie quando si fanno ricerche su temi di attualità o in rapida evoluzione. Google, invece, è una garanzia di aggiornamento costante. I suoi spider setacciano il web giorno e notte per indicizzare i nuovi contenuti. Non è raro vedere un articolo o un video appena pubblicato svettare nei risultati. Per un ricercatore, questa tempestività è oro colato.
Certo, anche gli strumenti AI possono migliorare su questo fronte. Ma finché non colmeranno il gap, rimarranno un passo indietro rispetto a Google. E gli utenti continueranno a preferire la certezza di risultati sempre freschi.
2. Il nodo della credibilità
C’è poi la questione spinosa dell’accuratezza e dell’affidabilità dei risultati. Diciamolo senza giri di parole: gli strumenti AI hanno ancora un problema di credibilità. Sarà perché tendono ad avere le allucinazioni e dare risposte inventate, o per la difficoltà a scremare le fonti autorevoli da quelle inattendibili. Fatto sta che è difficile fidarsi ciecamente di ciò che ci dicono.
Purtroppo può capitare di incappare in informazioni inesatte o contrastanti anche usando tool come Perplexity. Ecco perché, quando si ha la necessità di verificare un fatto o un’affermazione, molti preferiscono ancora affidarsi a Google. Per onestà intellettuale, va detto che nemmeno Big G è infallibile. Può capitare di trovare fake news o bufale anche nelle sue SERP. Ma nel complesso, ispira più fiducia rispetto alle AI di oggi. E in un’epoca di disinformazione dilagante, la credibilità è un asset fondamentale per un motore di ricerca.
3. Le abitudini sono dure a morire…
Ma ammettiamo pure che gli strumenti AI risolvano i problemi di aggiornamento e affidabilità. Ammettiamo che diventino impeccabili nelle risposte e trasparenti nelle fonti. Basterà questo per convincere la gente ad abbandonare Google? Forse, o forse no.
Il punto è che Google non è solo un motore di ricerca. È un’abitudine consolidata, un riflesso automatico. Per molti di noi, è il punto di partenza istintivo per qualsiasi ricerca online. Lo usiamo da così tanto tempo che è diventato parte della nostra routine quotidiana. E sappiamo bene quanto sia difficile cambiare le abitudini, specie quelle comode e radicate.
Basta chiedere in giro. Quanti conoscono e usano davvero i tool di AI per le loro ricerche quotidiane? Sicuramente una minoranza. Anche perché sembrano fatti più per smanettoni e appassionati di tech che per il grande pubblico. Manca loro quell’appeal di massa che ha reso Google sinonimo stesso di ricerca online.
Certo, si può sempre sperare in un cambio generazionale. Magari le nuove leve, native digitali e avvezze all’AI, saranno più propense a sperimentare alternative a Google. Ma perché ciò accada, servirà un vantaggio tangibile e immediato. Un’esperienza di ricerca talmente superiore da giustificare lo sforzo di cambiare abitudine. E francamente, gli strumenti AI di oggi non sembrano offrire ancora questo vantaggio.
4. Il peso della semplicità
C’è poi un fattore che spesso sottovalutiamo: la facilità d’uso. Può sembrare banale, ma è uno dei segreti del successo di Google. Cosa c’è di più facile che digitare due parole in una casella e premere invio? Niente fronzoli, niente complicazioni. Non serve un manuale per capire come funziona.
Gli strumenti di ricerca AI, invece, di solito richiedono uno sforzo in più. In primis, le interfacce sono più complesse. Poi bisogna imparare a formulare le domande nel modo giusto (i prompt), a interpretare le risposte. Certo, niente di trascendentale. Ma è comunque una barriera in più per l’utente medio, abituato alla semplicità di Google.
Naturalmente, l’usabilità degli strumenti AI potrà migliorare, e anche in fretta. Ma per scalzare Google dovranno raggiungere un livello di semplicità e immediatezza paragonabile, se non superiore. E non è detto che ci riescano, perché dopotutto stiamo parlando di interagire con un’intelligenza artificiale, non con un banale motore di ricerca.
5. Il fattore “wow” che manca
Infine, c’è una questione di percezione e di hype. Diciamolo senza mezzi termini: l’AI è un po’ come la finanza. Tutti ne parlano, ma pochi la capiscono davvero. E molti iniziano a esserne un po’ stufi, specie dopo la sbornia mediatica degli ultimi mesi. Senza dubbio l’intelligenza artificiale cambierà molti aspetti della nostra vita, dalla sanità all’istruzione, dal lavoro allo svago. Ma per quanto riguarda le ricerche online, forse le aspettative si sono un po’ sgonfiate.
Sarà che gli strumenti di ricerca AI, per quanto impressionanti, non hanno ancora avuto quel “fattore wow” che ti fa pensare: “Cavolo, questa roba è magica, devo assolutamente usarla al posto di Google!“. Sarà che dopo un po’ ci si abitua anche ai dialoghi con un chatbot, per quanto sofisticato. Fatto sta che l’entusiasmo iniziale sembra un po’ scemato.
Anche qui, non è detto che le cose non possano cambiare. Magari domani uscirà un tool AI così rivoluzionario e sbalorditivo da far passare ChatGPT per un giocattolo. Ma per ora, all’orizzonte non c’è nulla del genere. E senza un fattore “wow”, per molti utenti il passaggio da Google all’AI rimarrà un “perché no” piuttosto che un “devo farlo subito“.
Il futuro della ricerca online
Per ora nessuno di questi strumenti AI ha la forza di spodestare Big G dalla vetta delle ricerche online. Nemmeno colossi come Microsoft, che pure ci stanno provando con Bing (anche se non sempre in modo corretto) e altri tool AI. Perché il vantaggio di Google non è solo tecnologico, ma anche psicologico e culturale. È il vantaggio di chi ha plasmato le nostre abitudini e il nostro immaginario collettivo per vent’anni.
Non è un vantaggio inattaccabile o eterno. La storia della tecnologia è piena di giganti che sembravano invincibili e poi sono crollati sotto i colpi di qualche startup visionaria. Chissà che non tocchi anche a Google, prima o poi. Ma perché ciò accada, gli strumenti di ricerca AI dovranno fare un notevole scatto in avanti.