Ebbene sì, anche Perplexity, il popolare motore di ricerca AI, ha deciso di fare il grande passo e buttarsi nel mondo delle pubblicità. Inizialmente, gli annunci appariranno negli Stati Uniti, formattati come “domande di approfondimento sponsorizzate” (es. “Come posso usare LinkedIn per migliorare la mia ricerca di lavoro?“) I media a pagamento saranno posizionati a lato delle risposte ed etichettati come “sponsorizzati”.
In arrivo gli annunci pubblicitari su Perplexity
Ovviamente, i big del mercato non si sono fatti pregare e si sono subito messi in fila per accaparrarsi un posticino nel nuovo programma pubblicitario di Perplexity. Così, tra i primi a farsi avanti troviamo nomi del calibro di Indeed, Whole Foods, Universal McCann e PMG.
“Programmi pubblicitari come questo ci aiutano a generare entrate da condividere con i nostri editori partner”, scrive Perplexity in un post sul suo blog. “L’esperienza ci ha insegnato che gli abbonamenti da soli non generano entrate sufficienti per creare un programma di condivisione delle entrate sostenibile. La pubblicità è il modo migliore per garantire un flusso di entrate costante e scalabile“.
Perplexity ci tiene a precisare che le risposte alle “domande sponsorizzate” saranno sempre generate dalla sua fida AI, senza che i brand ci mettano lo zampino. Inoltre, gli inserzionisti non avranno accesso alle informazioni personali degli utenti.
Perplexity vs OpenAI
Mentre il motore di ricerca AI Perplexity si butta a capofitto nella pubblicità, c’è chi invece ha deciso di farne a meno (per ora). OpenAI, ha preferito lanciare il suo ChatGPT Search senza annunci pubblicitari. Ma anche la rivale Google ha sperimentato gli annunci nella sua esperienza di ricerca AI, AI Overviews, e recentemente ha portato gli annunci pubblicitari su mobile negli Stati Uniti per alcune query.
Tra accuse di plagio e dubbi sulla pubblicità
Certo, non è tutto rose e fiori per Perplexity. C’è già chi storce il naso riguardo alla portata e alle capacità di targettizzazione degli annunci sulla piattaforma. Per non parlare poi delle accuse di plagio che aleggiano sulla testa dell’azienda. Dow Jones di News Corp e NY Post le hanno fatto causa, accusandola di essere una “cleptocrazia dei contenuti”. E in effetti, diversi siti di notizie hanno dimostrato che Perplexity copia spudoratamente i loro articoli. Proprio il mese scorso, il New York Times ha inviato alla startup una diffida. Insomma, non proprio il massimo per attirare inserzionisti…
La corsa alla monetizzazione
D’altronde, con 100 milioni di query di ricerca a settimana, Perplexity deve pur trovare un modo per fare qualche soldino, no? Al momento, l’unica fonte di guadagno è l’abbonamento premium Perplexity Pro, che per 20 dollari al mese offre qualche funzionalità extra. Certo, l’azienda dice di aver fatto dei cambiamenti al modo in cui cita le fonti e di voler condividere i ricavi con gli editori, ma non è detto che basterà a placare le polemiche.